di Emanuele Caon e Lorenzo Zaggia
Fincantieri è una delle più importanti aziende della cantieristica navale del mondo. Alcuni suoi dirigenti e funzionari sono finiti a processo. Ora spetta alla magistratura verificare le accuse di sfruttamento, corruzione e caporalato. Nel frattempo la guardia di Finanza ha scoperto due mila lavoratori irregolari nei cantieri navali di Venezia. La vicenda ci ha impressionato, anche perché ci ha ricordato altre storie simili, su tutte il caso di Grafica Veneta.
La Fiom ha ricostruito la situazione delle aziende in appalto e subappalto a Fincantieri dopo che alcuni lavoratori si sono rivolti al sindacato a causa di tutta una serie di criticità. Ne sono emerse alcune ipotesi di violazione segnalate alla magistratura. Qui non ci occupiamo del processo in sé; ma del modello aziendale: come funziona l’organizzazione produttiva a Fincantieri? Possibile che non si sapesse nulla prima che la vicenda apparisse sulla cronaca come un fulmine a ciel sereno?
Ne parliamo con Matteo Gaddi, funzionario sindacale Cgil e membro del comitato scientifico della Fondazione Claudio Sabattini.
Quello di Fincantieri è un fulmine a ciel sereno o si poteva sospettare qualcosa?
Non sono nelle condizioni di dire se e da quanto tempo erano in corso violazioni di legge, perché questo compete alla magistratura. Però è da anni che Fincantieri basa l’organizzazione del lavoro e la produzione delle navi sul ricorso massiccio ad aziende in appalto e in subappalto: attualmente le imprese in appalto coprono l’80% delle ore necessarie a produrre una nave in cantiere, occupandosi della costruzione dello scafo con i lavori di saldatura, carpenteria, messa insieme delle parti della nave, allestimento e montaggio a bordo nave.
E questo senza contare gli “appalti chiavi in mano”, cioè la realizzazione di parti della nave (cabine, bagni, ecc.) che vengono realizzati esternamente al cantiere. Il personale di Fincantieri è responsabile del restante 20%, ma si occupa solo di controllo, supervisione e coordinamento, o svolge “attività di servizio” come la movimentazione di mezzi meccanici — insomma: attività fondamentali ma non propriamente produttive, le quali restano in capo a imprese esterne.
Qual è allora il ruolo di Fincantieri nella produzione di navi, e come questo incide sulla responsabilità per i presunti casi di sfruttamento?
Fincantieri sta diventando un’azienda che acquisisce commesse, negozia con il cliente, svolge la progettazione (in parte appaltando anche questa fasa, pure appoggiandosi ad aziende terze straniere) e organizza la produzione definendo e trasmettendo gli ordini di fornitura. In breve, pianifica le fasi del ciclo di lavoro che poi delega agli appalti, ma per ottenere l’assegnazione delle commesse cerca di definire il prezzo più vantaggioso possibile per il cliente.
È possibile che Fincantieri potesse non essere al corrente di quello che succedeva nelle aziende che lavorano in appalto per lei? Di chi è la responsabilità del presunto sfruttamento della forza lavoro?
A Fincantieri le aziende in appalto sono operative tutto l’anno e solitamente con mansioni non specializzate. Se, infatti, si eccettuano casi particolari in cui l’azienda che lavora in appalto collabora in occasioni di picco di lavoro o mette a disposizione specializzazioni particolari che mancano all’azienda appaltante, si ricorre agli appalti per il vantaggio economico che si può ottenere risparmiando sui costi, prima di tutto su quello del lavoro. Non ci sarebbe alcun vantaggio ad applicare le stesse condizioni economiche dei propri lavoratori all’impresa in appalto, quindi si appalta al ribasso, a chi fa pagare meno, e quindi vengono pagati meno i lavoratori. Insomma tutto questo si scarica sui lavoratori, sui loro salari e le loro condizioni di lavoro. Ed è quello che ha fatto Fincantieri: il costo medio di un suo operaio è intorno ai 55-56.000 euro lordi l’anno, mentre quello per i lavoratori delle imprese in appalto si aggira intorno ai 32.000 euro lordi, quasi la metà. Ribadisco che si tratta del “costo azienda”, cioè il costo del lavoro al lordo di tutto; i lavoratori percepiscono ovviamente molto molto meno. Da una parte, quindi, Fincantieri lavora per diminuire il prezzo da offrire all’armatore, ma dall’altra le aziende esterne accettano queste condizioni: le responsabilità sociali e politiche sono in capo a entrambi i soggetti.
Come fa Fincantieri a quantificare il valore economico di un appalto?
Fincantieri applica il WBS, Work Breakdown Structure, con cui scompone la nave da costruire in singole parti, di cui calcola il tempo necessario per lo svolgimento; così stabilisce il costo del lavoro da appaltare. La nostra impressione, confermata dall’inchiesta della Fiom di Venezia e del Veneto, è che Fincantieri cerchi sempre di diminuire i tempi di lavoro per abbassare il costo dell’appalto. Questo può farlo, per esempio, programmando un tempo minore di quanto servirebbe per lo svolgimento dei lavori.
E quindi come agisce, sul piano pratico?
Facciamo che Fincantieri calcola i tempi per una saldatura. Li calcola su, per esempio, dieci metri lineari, ma non tiene conto che nella realtà quei metri prevedono due curve. Ecco che sulla carta ci vuole meno tempo a fare la saldatura, ma così non è nella realtà concreta del lavoro in cantiere. C’è poi un altro problema, anche se i calcoli individuano alla perfezione il tempo di lavoro il punto è che sono fatti a tavolino, senza considerare gli imprevisti che si possono risolvere soltanto lavorando in più, oltre il tempo stimato, facendo aumentare il costo del lavoro. Ovviamente l’azienda in appalto ha bisogno che Fincantieri le riconosca questi imprevisti – si chiamano non conformità – perché altrimenti non sarebbe pagata per quanto ha effettivamente lavorato e i suoi dipendenti non sarebbero retribuiti adeguatamente.
Facci un esempio di non conformità.
Diciamo che la ditta in appalto deve installare un tubo di trenta metri che attraversa un muro, arrivi sul posto, ma sul muro non c’è il buco che dovrebbe esserci per far passare il tubo. Questa è una non conformità, il buco te lo devi fare tu e perdi tempo. Una procedura per segnalare le non conformità e ottenerne l’autorizzazione preventiva c’è, ma serve tempo in più e farsela approvare preventivamente significa bloccare i lavori. Il che rischia di far saltare le consegne dei singoli pezzi di nave che Fincantieri ha stabilito col cliente; e se il cliente non paga Fincantieri questa a sua volta non pagherà l’azienda in appalto. Quindi anche se le aziende in appalto segnalano le non conformità non è sempre detto che Fincantieri le riconosca.
Le aziende in appalto lavorano solo per Fincantieri?
In larghissima parte, sì. Se si eccettuano le poche aziende più strutturate la stragrande maggioranza dei subappalti è costituita da aziende molto piccole che lavorano a mono-committenza, quindi su più cantieri di Fincantieri o addirittura solo su un singolo cantiere. Per molte aziende perdere questi appalti è un grosso problema, e difatti è difficile che protestino se Fincantieri non si comporta come dovrebbe.
Sono spesso stranieri i lavoratori delle ditte in appalto? E le ditte stesse? E i dipendenti di Fincantieri?
Dati non ne ho, ma è un fenomeno chiaramente visibile: penso che a Fincantieri siano quasi tutti italiani, mentre negli appalti invece c’è una fortissima componente straniera. Alcuni vengono dall’est Europa e molti altri vengono chiamati in massa “bangla”, ma immagino non provengano tutti dal Bangladesh. E questa seconda componente di lavoratori ha difficoltà anche importanti con la lingua italiana: spesso non sanno che contratto viene loro applicato, se la busta paga è adeguata o addirittura quali sono i loro diritti, a meno che non ci sia una differenza palese tra le ore di lavoro e lo stipendio recepito. Molti lavoratori stanno capendo solo ora cos’è un sindacato e come può aiutarli. E poi c’è un’altra cosa, molto delicata: spesso titolari e dipendenti sono connazionali, con bilanci registrati in camere di commercio straniere. Ma più che in termini di composizione etnica questo gruppo si riconosce per lo stato di necessità: il dipendente di una ditta in appalto del sud Italia si trova in condizioni simili.
La vicenda di Fincantieri ci ha ricordato per certi versi Grafica Veneta. Abbiamo capito che Fincantieri non può dire di non aver saputo niente. Resta un’altra grande somiglianza: ma davvero nessuno ha visto nulla? Chi lavora direttamente per Fincantieri non si era accorto della diversità di condizioni di lavoro e paga dei lavoratori in appalto?
Ciascuno dovrebbe parlare per il sindacato che rappresenta. In Fincantieri ce ne sono tre, e solo la Fiom ha deciso di organizzare i lavoratori degli appalti, facendo più di 600 iscritti. Si potrebbe costituire un coordinamento dei delegati dell’Rsu di un sito, ma non è semplice. Comunque i nostri delegati Fiom in Fincantieri sono in prima linea sugli appalti, e anche per una forte consapevolezza: quando si divide la classe in condizioni diverse c’è chi sa di stare meglio degli altri e potrebbe fingere indifferenza, ma alla fin fine anche la sua condizione rischia di essere travolta se le condizioni generali del luogo di lavoro peggiorano. I più sindacalizzati avvertono il senso dell’ingiustizia, mentre gli altri, anche se non lo capiscono direttamente, cominciano ad avere qualche dubbio sulla loro condizione di lavoro. È chiaro che se gli appalti dilagano, e con essi le cattive condizioni di lavoro, anche per i dipendenti Fincantieri si presentano dei rischi. Ma non è come con il caso di Grafica Veneta, in cui si faceva finta di non vedere; anche perché se in una fabbrica si può fare un reparto separato in un cantiere come quello di Marghera tutti girano e tutti vedono.
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