La prossima settimana è densa di iniziative sulla lotta alla quarta linea dell’inceneritore: il 16, il 17 e il 20 due incontri e una manifestazione sono le tappe che portano alla conferenza dei servizi del 22 novembre, dove verrà espresso un giudizio sula fattibilità del progetto. Pubblichiamo tutte le informazioni necessarie per informarsi e ragionare in questo dossier, che troverete, stampato (per chi volesse darci un occhio, QUI il PDF), anche alle iniziative.
Il progetto della nuova linea dell’inceneritore di Padova ha preso corpo e ha assunto sempre maggior rilievo nel corso di quest’anno, dando vita a un dibattito molto acceso e a un’opposizione netta da parte di diversi soggetti: cittadine e cittadini, collettivi, comitati, partiti e istituzioni. Da una parte ci sono le ragioni portate avanti dalla società che gestisce l’inceneritore, che affronta la questione in termini di necessità dell’investimento e di concretezza delle risposte; dall’altra ci sono le posizioni contrarie che mettono al centro il problema ambientale e la gestione globale dei rifiuti. Già mesi fa abbiamo provato, come redazione di Seizethetime a dare concretezza ai problemi in oggetto con un’intervista a Gianni Tamino, che affronta le criticità legate all’inceneritore fin dalla sua prima costruzione, negli anni Settanta.
Uno dei problemi, quando si parla di questi argomenti, sta nel senso comune. Si ha sempre l’impressione che la questione resti in questi termini: i rifiuti ci sono perché c’è un’economia che gira, quindi è necessario gestirli, certo è meglio costruire inceneritori piuttosto che discariche, quindi la capacità dell’inceneritore di Padova va aumentata. I passaggi di questo ragionamento possono a prima vista apparire naturali, logici; e portano a evidenziare un conflitto insanabile fra benessere economico e ambiente. Questo conflitto c’è. Eppure è possibile agire all’interno di esso, se si possiede e si sviluppa il necessario sapere tecnico, e modificarne i termini.
Questa è la via che percorrono le migliori vertenze sull’ambiente, quelle che non si limitano a protestare ma indicano la strada per una gestione diversa dello sviluppo. Questo può avvenire se dietro c’è una lettura generale della società – come slegare i rifiuti dalla produzione e dalle forme della loro realizzazione attraverso il consumo ecc. – e delle istituzioni (il cui operato va sottoposto a un controllo da parte della popolazione), ma anche se si costruisce la capacità di evidenziare le dimensioni politiche delle applicazioni tecniche di sistemi complessi. Come è stato fatto, in questo caso, con un’inchiesta-studio da parte dei comitati in merito alla gestione dei rifiuti.
Questa è la via che percorrono le migliori vertenze sull’ambiente, quelle che non si limitano a protestare ma indicano la strada per una gestione diversa dello sviluppo. Questo può avvenire se dietro c’è una lettura generale della società e delle istituzioni.
Come redazione abbiamo deciso di provare a dare spazio a questo sapere costruito nel corso di mesi di lavoro, per mettere in evidenza, da una parte, il peso delle critiche che vengono mosse alla quarta linea dell’inceneritore, e dall’altra per mettere in luce come le risposte a questo tipo di problematiche esistano: basta saper mettere in discussione l’esistente e dunque, da una parte, il suo senso comune, ma anche, dall’altra, l’intoccabilità dei profitti aziendali.
L’inceneritore oggi
Il termovalorizzatore di Padova è di proprietà della società HestAmbiente S.R.L. che a sua volta fa parte del gruppo Hera, azienda multiservizi a partecipazione pubblica. Hera controlla anche AcegasApsAmga Spa, che a Padova si occupa di raccogliere i rifiuti. Due dati su Hera: sede a Bologna, quotata alla borsa di Milano, 9000 dipendenti, 7 miliardi e mezzo di fatturato, 400 milioni di utile netto.
Il termovalorizzatore padovano ha al momento attive tre linee di smaltimento rifiuti: una, la terza, moderna, risale al 2009-2010; le altre due invece hanno esaurito la propria vita produttiva e avrebbero già dovuto essere dismesse all’apertura della terza. La capacità autorizzata di smaltimento rifiuti è di 245.000 tonnellate l’anno, la capacità effettiva si attesta sulle 160-170.000. Un termovalorizzatore ricava profitto da una serie di fonti: costo di smaltimento, produzione di energia elettrica. Più brucia, più guadagna.
Il progetto presentato da Hestambiente a fine 2020 prevede la costruzione di una quarta linea e la chiusura della prime due (promessa dal 2007), per portare la capacità effettiva di bruciamento – come previsto dal piano finanziario – a 215.000 ton/anno.
Le prime osservazioni
Il primo strumento, a disposizione di cittadini, comitati, associazioni che vivono o operano su un territorio, per dire la propria su un’opera pubblica di grande impatto come questa sono le osservazioni al progetto, nell’ambito di una procedura chiamata “Valutazione di Impatto Ambientale”. Il soggetto proponente è poi tenuto a rispondere entro dei termini stabiliti per legge.
Per la quarta linea dell’inceneritore di Padova nella primavera sono stati presentati ben 28 documenti, ciascuno contenente una o più osservazioni. Hanno preso parola realtà locali, comitati, Società della Cura, organizzazioni politiche; ma anche consiglieri comunali di Padova e altri comuni della cintura urbana, nonché i comuni stessi. Fra chi ha espresso le proprie critiche al progetto al di fuori delle istituzioni c’è stata subito una forma di coordinamento, sostanzialmente attorno a due questioni:
- La logica di realizzazione: ci si è interrogati sulle esigenze che spingono a proporre il progetto, dato che la raccolta differenziata è in costante, seppur troppo lento, aumento, e soprattutto vista l’assenza del PRGR – Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti (l’ultimo è scaduto nel 2020 e, al momento delle osservazioni, non era stato nemmeno prorogato);
- Gli impatti sanitari e ambientali sul territorio circostante sulla breve e lunga durata.
L’insistenza sulla necessità del PRGR, cioè di un quadro in cui inserire l’ampliamento dell’inceneritore, ha messo in luce un vulnus istituzionale particolarmente grave: in pratica si propone di costruire così, un po’ a senso, senza una programmazione regionale sulla gestione del rifiuto.
In Regione sono corsi ai ripari in fretta: l’8 giugno 2021 il PRGR è stato prorogato con delibera, e sono stati conferiti ad ARPAV 50.000 euro per sviluppare il nuovo piano. Nella delibera ci sono alcune parole chiave che ribadiscono l’intento di giustificare la nuova quarta linea, come l’importanza di ridurre il rifiuto in discarica e l’idea di HestAmbiente per cui nella scala gerarchica di trattamento dei rifiuti su larga scala l’inceneritore sia la soluzione più accettabile al momento (riflessioni che precedentemente, in assenza di dibattito, non erano esplicitate).
Le seconde osservazioni
La regione ha chiesto a HestAmbiente di rispondere. Aveva a disposizione 30 giorni, ne ha chiesti altri 70: le questioni sollevate evidentemente non erano semplici. In questo modo, poi, si è ottenuta la pubblicazione delle risposte in un periodo dell’anno che scoraggia un ulteriore giro di osservazioni, per le quali c’erano due settimane: la metà di agosto.
Nel frattempo, attraverso manifestazioni, presidi, occasioni informative e soprattutto dialogo fra i proponenti delle osservazioni, la mobilitazione dal basso è andata avanti ed è cresciuta, arrivando a definire dei punti comuni sui quali dare battaglia. L’idea era di andare verso una piattaforma comune che unisse le opposizioni, dando così maggior forza alla battaglia. Quando il 16 agosto vengono pubblicate le risposte di HestAmbiente, è quindi possibile procedere a un secondo giro di osservazioni, redatte soprattutto da soggetti non istituzionali, entro il 30 agosto. Quali sono i punti che, da questi due giri di osservazioni, emergono come maggiormente problematici?
La salute pubblica
Il primo fra i problemi che emergono rispetto all’ampliamento dell’inceneritore è quello che riguarda la salute pubblica. Questa dimensione è stata messa in evidenza fin dalle prime osservazioni, ma le risposte pervenute non hanno fugato i dubbi precedentemente espressi.
L’incenerimento dei rifiuti comporta l’emissione di un particolato eterogeneo, misto di componenti di varia dimensione e nocività. Gli inceneritori di ultima generazione sono in grado di fermare, attraverso appositi filtri, una parte maggiore degli elementi nocivi rispetto ai decenni precedenti; ma non riescono a bloccare tutto, lasciando libere nell’atmosfera in particolare le particelle di dimensioni ridotte, le note PM10 e PM 2,5.
La prima critica che le osservazioni (in particolare quelle di ISDE Padova – Associazione di Medici per l’Ambiente, cui si rimanda per i dati citati) rivolgono al progetto riguarda la definizione della popolazione esposta: HestAmbiente ha fornito una valutazione dell’impatto delle emissioni considerando i dati dei dieci comuni interessati (esclusi quelli del veneziano), senza realizzare studi specifici sulla popolazione più immediatamente esposta, cioè sulle 16.000 persone che abitano nelle immediate vicinanze dell’inceneritore. Chiaramente, se si ipotizza un aumento di emissioni andando a “spalmarne” la ricaduta sul territorio di dieci comuni si ha un impatto molto meno allarmante della definizione degli effetti su un pugno di chilometri quadrati. La mancanza di studi sull’impatto sulla salute nel territorio circostante non è, evidentemente, una scusa per non procedere a una seria valutazione del rischio.
La previsione di contributo all’inquinamento atmosferico da parte della quarta linea (un contributo quasi irrilevante, di 0,00 µg/m3) è stata valutata come decisamente sottostimata, in quanto non si è tenuto conto di vari fattori, come il flusso di massa degli inquinanti (cioè la quantità totale riversata in aria nell’unità di tempo) – che vede, ad esempio, per le polveri sottili un quantitativo di almeno 7 quintali in più all’anno – e del fenomeno delle polveri secondarie, che possono raddoppiare o anche triplicare le concentrazioni in aria, per fenomeni chimico fisici che avvengono in atmosfera per l’azione di inquinanti quali Ossidi di Azoto, Ossidi di Zolfo, Ammoniaca, tutti presenti nelle emissioni dell’impianto. Su questi punti l’azienda non ha mai risposto, anzi ha secretato il bilancio di massa e di energia dell’impianto di abbattimento fumi.
Tutto questo accade in un territorio già fortemente inquinato: la centralina di rilevamento degli inquinanti APS 1 di via dell’Internato Ignoto, collocatanelle vicinanze enella direzione prevalente dei venti rispetto all’inceneritore, fornisce dati che si collocano, negli ultimi anni, al secondo posto in regione per numero di sforamenti annui del limite giornaliero di polveri sottili e per concentrazioni di PM2,5 più elevate del limite annuo.
E’ a partire da tale situazione di inquinamento – come del resto prevede la normativa – che deve essere valutato l’impatto sulla salute della nuova linea: in una situazione già critica si deve ridurre e non aumentare l’immissione di inquinanti, in particolare di polveri fini ed ultrafini.
Quali sono i rischi? Dove ci sono, gli studi parlano chiaro. Le particelle di piccole dimensioni sono quelle più incriminate per malattie cardiovascolari e neurodegenerative (Parkinson, Alzheimer). Il particolato (polveri fini e ultrafini) è classificato come agente cancerogeno certo per l’uomo (cancro al polmone ed alla vescica), come l’inquinamento atmosferico complessivo (out air pollution); è stato evidenziato che ogni aumento di 10 µg/m3 di PM2,5 comporta un incremento del 40% nell’incidenza dell’adenocarcinoma polmonare. Uno studio sull’inceneritore di Forlì ha evidenziato crescita statistica della mortalità per tumori nelle donne (in particolare cancro allo stomaco), e di incidenza nel cancro del colon retto in maschi e femmine, per l’esposizione ai metalli pesanti emessi dai due inceneritori in un raggio di 3,5 km. Lo studio MONITER realizzato dalla Regione Emilia Romagna, ha mostrato un aumento significativo di nati pre-termine nelle aree più vicine agli inceneritori della Regione, nonché un incremento della abortività spontanea del 44% nelle donne più esposte e senza precedenti aborti.
Il problema PFAS
Nelle nuove osservazioni presentate si è contestato molte volte l’approccio sommario delle risposte di HestAmbiente, in particolare sulla questione dei PFAS. Nella richiesta di autorizzazione a smaltire anche rifiuti liquidi contenenti PFAS, cioè percolati di discariche, HestAmbiente propone un trattamento per incenerimento: i liquidi contenenti PFAS saranno spruzzati nel punto di fiamma massima dell’impianto. Tuttavia – e questo era già stato specificato nelle prime osservazioni – gli studi che ci sono sul tema, per ammissione stessa di HestAmbiente, sono contraddittori. In altre parole, non ci sono ricerche definitive sulla possibilità di decomporre i PFAS attraverso un’azione termica; e, comunque, si afferma che si dovrebbero superare i 1400 gradi, mentre nell’inceneritore si sta fra gli 850 e 1000 °C.
Il problema è che nelle molecole dei PFAS c’è un legame alchilico Fluoro-Carbonio che conferisce le caratteristiche proprie – anche industriali – alla sostanza. Il rischio è che nel bruciamento si realizzi una distruzione incompleta dei PFAS, con formazione di altri composti florurati, per lo più sconosciuti e non identificabili, che vengono dispersi nell’ambiente dal camino: l’incenerimento non risolve il problema della contaminazione da PFAS ma, con un circolo vizioso perverso, riversa nuovamente nell’aria e nel suolo gran parte di queste sostanze, creando al contempo composti ancora più tossici per l’uomo e per l’ambiente.
Su questo tema, inoltre, il documento di HestAmbiente è grossolano. Ad esempio, parla di «qualche centinaio di composti», mentre in realtà sono molte migliaia, 4.730 secondo un inventario del 2018, ma forse più di 9000 secondo l’EPA, tutti estremamente persistenti nell’ambiente e nell’organismo umano. Assumono la contraddittorietà degli studi come un via libera e affermano che comunque ne saranno bruciati pochi. Cosa vuol dire pochi?
Termini relativi o termini assoluti?
Questo è un criterio che vale in generale per tutto il dibattito sull’inceneritore. L’azienda afferma che gli inquinanti emessi restano sotto i limiti di legge, che addirittura migliorerebbero rispetto alle attuali linee 1 e 2, oppure presenta alcune stime in cui media l’impatto emissivo sul territorio della provincia di Padova (e qui la cosa è semplicemente insensata, considerando che l’impatto è maggiore su un’area più circoscritta). L’azienda insomma considera le emissioni solo in termini relativi.
Non si arriva mai, invece, a studiare un punto fondamentale, oltre che di buon senso, cioè che il contributo deve essere visto in termini assoluti, in relazione al contributo di questa nuova linea sull’inquinamento.
Il territorio di Padova è sottoposto a un fortissimo stress, dal punto di vista di polveri sottili e composti vari. Per anni la città è stata – ed è tuttora – ai primi posti fra le città più inquinate d’Europa.
Per chiarire: il territorio di Padova è sottoposto a un fortissimo stress, dal punto di vista di polveri sottili e composti vari. Per anni la città è stata – ed è tuttora – ai primi posti fra le città più inquinate d’Europa. Naturalmente a questa situazione contribuisce anche la conformazione geografica, la direzione dei venti e la collocazione. In generale, se anche in termini relativi la nuova linea dell’inceneritore andasse a rispettare le norme, in termini assoluti passare da 160.000 tonnellate a 215.000-240.000 significa immettere più inquinanti nell’atmosfera, e aumentare lo stress sul territorio. Ragionando in termini sistemici, dunque, e al di là dei termini relativi introdotti dai parametri di legge, la soluzione non può essere che agire in vista di una riduzione delle emissioni.
Quindi che si fa?
L’argomento di chi lavora per portare avanti la costruzione dell’inceneritore è semplice ed efficace: i rifiuti ci sono, che ne facciamo? Riempiamo il Veneto di discariche? È proprio questo il senso comune che va preso da un’altra prospettiva e smontato.
Il discorso sui rifiuti si fa a livello regionale. Perché in Veneto dobbiamo costruire un’altra linea di incenerimento? Innanzitutto, perché la raccolta differenziata è bassa – in particolare a Padova, siamo al 59%, molto sotto a quel che era previsto nel PRGR per il 2020, e molto più in basso alle punte d’eccellenza regionali (i due bacini del trevigiano, con una media dell’82%). Guardando anche ad altre esperienze internazionali (a partire dalla pubblicizzatissima Copenaghen dell’inceneritore con pista da sci sul tetto) emerge chiaramente la correlazione tra presenza di impianti di incenerimento e basso livello della differenziata. La situazione di Padova è così negativa anche perché sia chi raccoglie rifiuti, cioè AcegasApsAmga Spa, che dovrebbe lavorare a diminuire il rifiuto residuo (il secco), sia chi li brucia, che ha interesse a mantenere alta la quantità di rifiuti per ricavare profitto dall’impianto, sono della stessa proprietà, Hera Spa.
C’è inoltre un’altra leva che il potere istituzionale dovrebbe utilizzare, e che andrebbe sottolineata dal livello regionale a quello europeo: la necessità di disaccoppiare l’andamento dei rifiuti dall’andamento del PIL. Storicamente, una crescita del PIL comporta una maggiore produzione e un maggior rifiuto, soprattutto in termini di imballaggi. Ad esempio, la crisi del 2008-2010 ha portato a una diminuzione netta della produzione di rifiuti negli anni immediatamente seguenti. Nel 2015 la Regione aveva previsto azioni per una pianificazione in questi termini, con normative riguardanti la produzione, ma poi non se ne è fatto nulla: nessuna azione, nessun risultato.
Si dovrebbe poi agire sul rifiuto, applicando le cosiddette best available techniques (BAT), le migliori tecnologie disponibili per la differenziazione del rifiuto. Quanto va in discarica il rifiuto oggi passa da un impianto di trattamento meccanico-biologico, in cui ci sono batteri, che digeriscono il materiale organico, diminuendo il volume del rifiuto da conferire (di circa il 25%) e rendendolo più inerte. Investendo in questi impianti, inserendo cicli di recupero di materia, si potrebbe arrivare a una diminuzione del rifiuto da conferire fino al 50%. Non sono cose tecnicamente semplicissime, e richiedono investimenti, però iniziare ad andare in questa direzione significa avere un piano verosimile per il medio termine.
La soluzione dunque esce, per ragioni tecniche, economiche e politiche, dal problema per cui se ci sono rifiuti serve un posto dove metterli, e affronta la questione nella sua globalità, a livello di produzione, raccolta e trattamento. I conti sono stati fatti dai comitati: se si obbligassero le imprese a un’azione seria su imballaggi e prodotti di confezionamenti; se arrivassimo agli obiettivi del PGR del 2015, con il 76% regionale di differenziazione, e magari agendo sui conflitti di interesse fra chi raccoglie il rifiuto e chi lo brucia, lo superassimo, arrivando all’87%; se impostassimo davvero una strategia industriale basata sulle BAT e non solo sull’inceneritore, come fa attualmente HesAambiente, dunque sul trattamento più generale del rifiuto: in tal caso in Veneto potremmo mantenere attivi la terza linea di Padova e l’inceneritore di Schio, chiudere la prima e la seconda di Padova, non fare la quarta, mantenere una quota minima da conferire in discarica (necessario per ragioni tecniche di gestione degli impianti).
RIFIUTO | RIFIUTO | RD | SECCO | Incenerito | Discarica | Tot. secco | |
t/a | kg/a/a | % | kg/a/a | t/a | t/a | t/a | |
Padova Linea 3 | 91.380 | ||||||
Schio | 84.155 | ||||||
dati 2019 | 2.310.597 | 471 | 69,50% | 143,66 | 175.535 | 476.465 | 652.000 |
entro 2025 | 2.038.030 | 420 | 76% | 100,80 | 175.535 | 276.993 | 452.528 |
entro 2030 | 2.038.030 | 420 | 84% | 67,20 | 175.535 | 126.150 | 301.685 |
prima possibile | 1.455.736 | 300 | 84% | 48,00 | 175.535 | 39.955 | 215.490 |
prima possibile | 1.455.736 | 300 | 87% | 39,00 | 175.085 | -450 | 175.085 |
La soluzione dunque esce, per ragioni tecniche, economiche e politiche, dal problema per cui se ci sono rifiuti serve un posto dove metterli, e affronta la questione nella sua globalità, a livello di produzione, raccolta e trattamento
La direttiva UE sulle discariche 2018/850/UE prescrive che, entro il 2030, tutti i rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo, in particolare i rifiuti urbani, non dovranno più essere ammessi in discarica, a eccezione dei rifiuti per i quali il collocamento in discarica produca il migliore risultato ambientale. La Regione invece intende, oltre ad ampliare il sito di Padova, aumentare il volume delle discariche (lo scorso anno sono state date due autorizzazioni).
Piano Economico Finanziario
L’altro argomento, in relazione alla necessità di costruire una nuova linea di incenerimento, riguarda il costo della gestione. È ovvio, si potrebbe dire, che esistono delle ottime tecnologie per differenziare il rifiuto, però hanno dei costi proibitivi, è necessario bruciare. Vediamo.
Nelle risposte di HestAmbiente alle prime osservazioni si faceva riferimento al PEF – Piano Economico Finanziario, che era secretato (le ragioni che l’azienda aveva fornito alla Regione per la riservatezza riguardavano questioni di segreto industriale). Il Piano è però importante, perché da qui verrà fuori la composizione della tariffa che sarà applicata allo smaltimento dei rifiuti, calcolata in euro alla tonnellata per anno. Tra l’altro, proprio dalla tariffa è nata la richiesta di una quarta linea: HestAmbiente nel 2019 ha chiesto di aumentarla, la Regione ne ha chiesto i motivi, e dalle valutazioni in merito è scaturito il progetto, che dovrebbe portare a un abbassamento della tariffa a 130 euro/ton.
In realtà alcuni dei comitati avevano già avuto modo di visionare il PEF, dato che la Regione aveva, per errore, pubblicato il link alla cartella in cui è raccolta la documentazione segreta; erano così emerse le prime evidenze macroscopiche di problemi nella stesura del piano. Nei 15 giorni agostani dopo le risposte alle osservazioni non c’era però il tempo di analizzarla bene, e c’era anche il dubbio che non si potesse fare riferimento alla documentazione secretata: si è così chiesto di fare ricorso agli atti, HestAmbiente si è opposta ma alla fine la Regione ha acconsentito. Ecco cosa ne emerge.
– il PEF sulla linea è calcolato su 20 anni.
– Si tratta di un lock-in investment, cioè di un investimento che vincola al mantenimento di un modello industriale specifico, in questo caso al mantenimento del livello dei rifiuti da bruciare. Per 20 anni cioè nel termovalorizzatore dovrà entrare un flusso costante di 215000 ton/anno, cioè 50.000 più di ora.
– Solo con questi livelli è possibile, stando al PEF, mantenere una tariffa di 130 euro/ton. Contro una tariffa del 2019 di 131,5 euro/ton.
Cioè si costruisce una nuova linea e per 20 anni si brucia 1/3 in più dei rifiuti, si produce 1/3 in più di inquinamento, si ritarda l’ampliamento della raccolta differenziata (altrimenti non ci sarebbero rifiuti da bruciare, si ricorda che le Regioni italiane possono bruciare solo quel che è prodotto al loro interno, non si possono cioè importare rifiuti urbani) per risparmiare, secondo quanto dice l’azienda, l’1,1% sul costo alla tonnellata di rifiuto.
Tra l’altro: emerge l’insensatezza delle osservazioni presentate dal Comune di Padova: si chiede di fare la quarta linea ma di restare ai livelli di bruciamento del 2019, cioè a 160000 tonnellate. Si è calcolato che, in questo caso, la tariffa salirebbe a 165 euro/ton, facendo schizzare le bollette.
Questo piano finanziario, sembra presentare incoerenze ed errori macroscopici: ad esempio viene dichiarato che gli investimenti per la manutenzione straordinaria verranno conteggiati nel capitale che va remunerato, ma poi nelle tabelle del PEF compaiono nelle voci di spesa e non nella capitalizzazione, oppure evidenzia una remunerazione del capitale (la possibilità da un paio d’anni è prevista dall’ARERA – Autorità di regolazione per energia reti e ambiente – fino al 6,3%) molto variabile, dal 2,5% del primo anno al 26% dell’ultimo.
Secondo i comitati molti di quelli che sembrano errori o incoerenze, sarebbero stati fatti per mascherare i costi maggiori che ci saranno.
Ultimi sviluppi
La desecretazione è stata concessa il 15 settembre, ci sono stati altri 30 giorni per fare osservazioni su questa documentazione, che si vedeva per la prima volta. Il comune intanto ha chiesto la cosiddetta inchiesta pubblica, cioè un momento di confronto fra le parti sul tema: è stata formalmente accordata, ma in una forma del tutto inadatta a essere realmente pubblica o incisiva. Chi aveva già presentato delle osservazioni aveva 10 minuti per spiegare le proprie ragioni, in una seduta online con il contraddittorio dell’azienda (presenti Cecchin, l’amministratore delegato di Hestambiente e una serie di tecnici), senza possibilità di pubblico, nemmeno i giornalisti. Senza particolari risultati, l’inchiesta si è tenuta in due sedute il 21 ottobre e il 3 novembre.
Nel frattempo, la Regione ha fissato la conferenza dei servizi che dovrà raccogliere i vari pareri degli enti sulla realizzazione dell’opera ed esprimere il giudizio sulla fattibilità dell’opera, fissata per il 22 novembre.
Come rispondere?
In questi mesi l’attenzione popolare sulla quarta linea è lentamente cresciuta, grazie all’inchiesta-studio e alla partecipazione ai comitati, e nonostante la posizione ambigua della giunta comunale, che per bocca di alcuni amministratori si dichiara parzialmente contraria all’opera ma poi non si oppone in nessuna sede. Come si continuerà?
– È in corso una raccolta firme contro la quarta linea, che chiede al comune di prendere posizione in sede di conferenza dei servizi, chiedendo: la chiusura linee 1 e 2, dicendo no quarta linea e facendo crescere la differenziata. Si possono trovare i banchetti in tanti mercati rionali della città, Arcella, Mortise, Guizza, Forcellini e il sabato mattina in Piazza delle Erbe, così come lungo gli argini o davanti all’ospedale.
– Il 16 novembre Catai e Potere al Popolo organizzano una discussione sulle possibilità di riportare in house, cioè di ri-pubblicizzare, la gestione dei rifiuti, e sul conflitto di interessi fra HestAmbiente ed AcegasApsAmga. È già stato fatto a Forlì, ha funzionato sia dal punto di vista finanziario che dell’aumento della differenziata, può funzionare anche qui.
– Il 17 novembre si terrà invece un grande incontro organizzato dai comitati, per dar vita a quella discussione pubblica che la Regione non ha voluto concedere. L’invito è stato mandato anche al presidente della regione Veneto e al sindaco di Padova. L’appuntamento è per le 21 alla sala parrocchiale di S.Pio X (via Grassi 44) alla Stanga.
– Infine, sarà il momento di una nuova manifestazione pubblica in vista della scadenza del prossimo 22 novembre.
Soprattutto, proseguirà il lavoro di informazione e controllo popolare sull’operato delle istituzioni, sull’amministrazione e contro il progetto volto solo al profitto. A seconda degli esiti si continuerà a fare pressione dal basso ma, se necessario, si ricorrerà al tribunale amministrativo TAR per far valere anche i vizi procedurali che ci sono in tutto questo iter in cui controllori e controllati hanno interessi comuni.
2 thoughts on “Dossier Inceneritore- Le ragioni del NO spiegate bene”
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