Di Tancredi Castelli e Sebastiano Rizzardi
Questo articolo nasce dalla collaborazione tra la redazione di Seize the time e alcuni di coloro che in prima persona hanno partecipato alla vertenza su Acqua Vera. Il piccolo caso di San Giorgio in Bosco ci è sembrato una grande figura per parlare di ambiente, lotta e politica.
Storia di una mobilitazione. San Giorgio in Bosco, 6370 abitanti, è un piccolo paese dell’alta padovana. Nel 1979 Lino Pasquale, della vicina Cittadella, vi fonda Acqua Vera, azienda che ben presto diventa il centro produttivo più importante del paesino; ne sono un chiaro esempio le vecchie divise della squadra di calcio locale il cui sponsor inevitabilmente era Acqua Vera. In dieci anni il marchio cresce e crea attorno a sé un indotto di aziende minori, legate soprattutto alla logistica, che aiutano la diffusione dell’acqua di San Giorgio in tutta la regione e in tutta Italia. Acqua Vera scala le gerarchie: dal piccolo campo di paese, arriva alla Serie A, e ad essere, infine, sponsor dei mondiali di Italia ’90. Nel 2005 la multinazionale Nestlé, attraverso San Pellegrino Spa, acquisisce l’azienda. Non cambia molto, è solo il “normale” sviluppo delle cose. Per più di quindici anni la situazione resta stabile, fino al 2020 quando Nestlé vende il marchio ad AQua Vera Spa della famiglia Quagliuolo che acquisisce i vari stabilimenti di Acqua Vera, ma non lo storico centro di San Giorgio.
Qui San Pellegrino continua a emungere l’acqua dalla falda e a imbottigliare sulla base di un accordo di co-packing con AQua Vera Spa, poiché, oltre a quella dell’acqua, nello stabilimento ci sono più linee di produzione legate ad altre bevande. Fra San Pellegrino e AQua Vera Spa è comunque stato siglato un accordo di somministrazione (approvato dalla Regione nel dicembre 2021) che autorizza AQua Vera Spa a imbottigliare l’acqua della storica concessione mineraria “Vera”, un accordo definito «prodromico», quindi funzionale, alla volturazione della concessione mineraria dalla San Pellegrino ad AQua Vera Spa. Tuttavia, come ricorda uno dei primi articoli de Il Mattino sulla questione: «per imbottigliare serve uno stabilimento».
Nel 2019 Nicola Pettenuzzo vince le amministrative guidando una lista a trazione leghista (da quest’anno Pettenuzzo è pure segretario provinciale del Carroccio). Nella primavera 2022 è a lui che la famiglia Quagliuolo manda la domanda di valutazione preliminare per la costruzione di un nuovo centro di imbottigliamento (di proprietà) accanto allo storico impianto di Acqua Vera. La famiglia Quagliuolo è un nome di discreta importanza nel PET e vorrebbe prendersi la fetta di mercato che San Pellegrino sta abbandonando, l’imbottigliamento dell’acqua. Fermiamoci un secondo e proviamo a capire. Nestlé non vede più margini di guadagno nell’imbottigliare acqua e sta spostando tutta l’attenzione sul beverage (il settore delle bevande), perché allora qualcun altro dovrebbe pensare sia un business remunerativo? Per renderlo tale, bisognerebbe abbassare i costi a discapito della qualità del prodotto finale: ci saranno minori attenzioni verso il prodotto, la produzione e lo spreco d’acqua.
A giugno del 2022 c’è l’incontro tra Comune e AQua Vera Spa. Il progetto prevede un impianto da 16.000 m2 su un’area agricola di 37.000 m2 e il rispetto della concessione data a San Pellegrino che prevede un massimo di emungimento di 100 l/s. Di fronte alla promessa di una corresponsione di circa un milione e mezzo di euro e di (massimo) una trentina di posti di lavoro, la maggioranza si dimostra servile e stende un lungo tappeto rosso ai piedi del progetto. Sembra che l’approvazione della valutazione preliminare (che non rientra nell’iter burocratico, ma che lancerebbe un chiaro indirizzo politico) sia cosa certa.
La notizia circola tra le fila dell’opposizione che alle rassicurazioni del sindaco («chiedono solo un capannone, non ci saranno altri pozzi»; «però nei fatti non stanno prelevando più di 30 l/s») mostra, invece, preoccupazione. Questa preoccupazione non è immotivata ed è generale: l’estate del 2022 ha reso espliciti gli effetti dello sfruttamento ambientale che la zona padana soffre da anni e che ora si stanno materializzando in una siccità senza precedenti (https://www.seizethetime.it/siccita/). E il locale è sempre un’ottima lente per guardare alle dinamiche globali come quella del cambiamento climatico. San Giorgio si trova sopra una delle falde acquifere più grandi d’Europa, una ricchezza evidente nella mancanza di un vero e proprio acquedotto per tante famiglie: a molti l’acqua arriva direttamente dalla falda, emunta da una pompa idrica in giardino o sotto il pavimento. È sempre capitato che d’estate, per il caldo e l’aumento di produttività dell’impianto di Acqua Vera, l’acqua potesse essere poca nei giardini; ma quest’anno l’acqua proprio non c’era. Dalle pompe delle case non usciva nulla, mentre il comune pianificava un nuovo centro di estrazione.
Il 22 luglio le consigliere e i consiglieri dell’opposizione e altri cittadini politicamente impegnati danno vita a un incontro di carattere informativo sulla questione. Le disponibilità della sala consiliare non bastano, le persone sono troppe, sono più di 200. Bisogna farlo sotto le barchesse e nel parcheggio di Villa Bembo. All’assemblea partecipa un po’ chiunque, passa anche il consigliere regionale, Enoch Soranzo (Fdi); ma a creare entusiasmo non sono i grandi nomi, è la partecipazione popolare: in moltissimi si trovano lì perché non possono più far finta di non vedere il problema. La riunione termina con un mandato politico: si faccia qualcosa! Alla fine, anche chi si è presentato pensando di poter mettere il proprio cappello sulla vicenda, si deve arrendere e accettare la volontà comune del paese.
(Alla base di questo primo successo c’è anche una caratteristica tipica dei paesi della zona: il rapporto col Brenta. È l’ambiente circostante che ha dato vita a questi piccoli centri e la popolazione si è sempre dimostrata molto attenta alla sua preservazione. Tra i casi più recenti, si segnala la mobilitazione contro i nuovi pozzi di emungimento fatti vicino al lago di Camazzole a Carmignano di Brenta.)
Al termine dell’incontro viene lanciata una petizione online e le firme arrivano a oltre duemila. Mentre la pressione sul Consiglio Comunale aumenta, iniziano le interrogazioni regionali in merito. Complessivamente si potrebbe dire che nessuno è d’accordo con il progetto del nuovo stabilimento, tuttavia la questione è più complessa. È vero che quasi tutti i consiglieri hanno espresso i propri dubbi, però ognuno lo ha fatto secondo la propria visione politica (è semplice pensare alle differenze tra l’interrogazione di Arturo Lorenzoni e quella di Enoch Soranzo). Intanto, prosegue la lotta del comitato cittadino; al comune vengono chieste informazioni relative alle corresponsioni della Regione previste dalla concessione mineraria garantita a San Pellegrino. Lo storico 2009-2021 varia e si attesta su circa 138 mila euro annui; è una somma relativamente bassa rispetto allo stato di sfruttamento idrico che l’azienda ha portato e porta avanti e spinge molti a chiedersi: questo territorio vale davvero così poco?
La pressione è troppa e in Comune la maggioranza si spacca. Il 13 agosto, come formalità (tanto non si superano mai i 30 l/s), viene chiesto a chi di dovere, Luca Zaia, di abbassare la portata della concessione a 50 l/s. Il sindaco, comunque, continua a rassicurare tutti: non c’è niente, solo allarmismo, ovviamente, inutile. La questione ormai è nota a tutti nella zona e sia il Comune sia la Regione sono troppo esposti, l’unica soluzione è quindi dare esito negativo alla domanda di valutazione e darla vinta alla mobilitazione popolare. È il 2 settembre 2022. La storia però non è finita. La famiglia Quagliuolo tornerà sicuramente alla carica, forse con una nuova campagna social, forse con del greenwashing, forse semplicemente spostando lo stabilimento da un’altra parte. Insomma la lotta non finisce mai. Questa certezza ci ha spinto a raccontare la storia di Acqua Vera, per fornire un esempio positivo di lotta, ma soprattutto per provare allargare lo sguardo dalla singola vertenza alla rete globale in cui è calata.
Potere popolare. Senza la partecipazione della popolazione, la domanda di valutazione di AQua Vera Spa sarebbe stata approvata. Certo, la questione è stata gestita da soggetti che la politica la conoscono, ma la pressione popolare è stata insostituibile. Il ruolo della politica è stato quello di dare forma a un sentire diffuso, di metterlo in prospettiva, di dare le giuste armi per la lotta. È emblematico il caso della riunione del 22 luglio, l’occasione di contatto tra queste due dimensioni, la cittadinanza e la politica, che da appuntamento informativo si è trasformata in un’assemblea. Senza quell’incontro, se non si fosse chiamato in causa il «popolo», le cose sarebbero andate diversamente. A livello istituzionale la lotta sarebbe nata debole, priva di concretezza e ridotta, all’interno della narrazione quotidiana della politica, al solito gioco delle opposizioni alla ricerca di consensi ed elettori. A livello popolare, il problema sarebbe rimasto individuale, magari vissuto da tutti, ma ognuno a proprio modo, singolarmente, fino a che non ci si sarebbe accontentati di qualche lamentela fuori dai bar, accettando il fatto come si accetta il caldo d’estate. È la volontà popolare che dà concretezza alla lotta ed è la lotta politica che rende il problema di uno, il problema di tutti, che lo inquadra in un sistema più ampio, ricostruendo nessi difficilmente visibili davanti a un rubinetto scarico: quelli della crisi climatica e del libero sfruttamento capitalistico, sia della grande multinazionale, sia del capitalista da capannone.
Volere tutto. Parlando della vicenda ci è tornata alla mente una frase di Lucio Magri, dopo l’uscita del Manifesto dal Pci, che citava Santa Teresa di Lisieux: «Noi non contiamo niente ma dobbiamo agire come se tutto dipendesse da noi». Può sembrare una citazione impropria, eppure è utile per allargare l’orizzonte politico di una questione locale come questa. Quel tutto richiama alla radicalità del pensiero che sostiene le pratiche politiche. Rappresenta la voglia di non scendere a compromessi pur considerando la complessità del caso, di rifiutare mediazioni di chi la mediazione non la merita. Volere tutto insomma, senza fare un passo indietro e concedere il minimo precedente per la messa in discussione di un principio indiscutibile: basta sfruttamento ambientale. Ma il tutto rilancia all’ampiezza della lotta; per comprendere a pieno il senso di un rubinetto senza acqua non è sufficiente trovare il nemico vicino, anche perché questi spesso non c’è. Bisogna piuttosto calare la singola storia all’interno di un tutto complessivo, di un sistema, e comprenderne la portata. Solo in questo modo si può creare un orizzonte condiviso in cui tutte le singole vertenze contano davvero. Se così non fosse, il nuovo impianto di imbottigliamento si farà, magari non a San Giorgio, ma a Cittadella.
Riconoscersi nel cambiamento. Vicino al paese si trova il sito della Palude di Onara, un’area naturale, un tempo ricca di acqua e biodiversità, ora in punto di morte. A fornire questa diagnosi è stato Giovanni Sburlino (professore di Botanica Ambientale e Applicata della Ca’ Foscari di Venezia), il quale ha indicato come causa primaria gli infiniti emungimenti dello stabilimento di Acqua Vera dal fiume Tergola che da quelle risorgive trae origine. Di fronte al milione e mezzo offerto da AQua Vera Spa è necessario chiedersi: tutto questo vale davvero così poco? A raccontarci la storia dell’acqua deve essere ancora chi sull’acqua fa profitti? Quanto è avvenuto a San Giorgio deve far riflettere sul punto in cui ci troviamo; questo tipo di operazioni di sfruttamento ambientale, di cementificazione, di esportazione di plastica, non possono più essere la normalità. Il mondo è cambiato, e l’abbiamo cambiato noi. Perciò deve cambiare anche il modo in cui pensiamo all’acqua, all’ambiente, agli interventi. Ieri, la più grande falda acquifera d’Europa non aveva acqua e per la Regione, dati alla mano, andava tutto bene. Oggi, Zaia invoca un piano Marshall contro la siccità. Domani AQua Vera farà una nuova proposta, ma i parametri di valutazione restano gli stessi, quelli di vent’anni fa, quando ancora si poteva pensare che l’acqua fosse una risorsa inesauribile.