La redazione di Figure, confluita in SeizeTheTime, è solleticata dall’argomento di questo articolo perché si è occupata dei rapporti tra lavoro e volontariato, dedicandovi un intero numero, eccolo qui.
A Padova succedono cose curiose. Se indirizzi una critica a un assessore ti rispondono, al posto suo, le associazioni. È quello che è accaduto domenica 12 febbraio sulle pagine de Il Mattino: Legambiente, Salvalarte, il Comitato Mura, Arcadia e la chiesa di San Gaetano rispondono indignate (così sembra) a Mi Riconosci. Le associazioni affermano che i siti culturali della città sono tutt’altro che inaccessibili perché ad aprirli ci pensano loro con i volontari.
Da dove nasce questa polemica?
Mi Riconosci, sempre su Il Mattino del primo febbraio, aveva dichiarato che Padova è una città bellissima, con due riconoscimenti Unesco e un numero di turisti in costante crescita. Nonostante ciò la maggior parte dei siti culturali è aperta solo occasionalmente e da volontari. Nell’articolo de Il Mattino compariva infatti una lista di ben dodici siti gestiti da volontari e dunque accessibili in poche occasioni. Fra gli altri, la Torre dell’Orologio, il Castello Carrarese, Ponte San Lorenzo, l’Odeo Cornaro.
Ci dispiace assistere a una contesa tra volontari e professionisti della cultura: da una parte chi, con generosità, dedica parte del prezioso tempo libero alla valorizzazione del patrimonio del territorio; dall’altra chi di questa valorizzazione ha fatto un mestiere, spesso poco riconosciuto e poco remunerato. Siamo quindi andati a chiedere alcuni chiarimenti a Francesca Tomei di Mi Riconosci: «Abbiamo parlato di una Padova meravigliosa e inaccessibile, il che era evidentemente una provocazione. Ma se era utile a far notare che il patrimonio di Padova è molto più ampio di quello a cui generalmente si pensa, serviva anche a mostrare alcune contraddizioni in cui scivola la nostra amministrazione».
Abbiamo parlato di una Padova meravigliosa e inaccessibile, il che era evidentemente una provocazione.
Le professioniste e i professionisti di MiRiconosci affrontano la questione a partire da un dato: i 526.000 visitatori vantati dall’Amministrazione rispetto a dicembre. Oltre al fatto che il sistema di conteggio dei turisti è di dubbia affidabilità (e, in effetti, da molte parti messo in discussione), resta una riflessione importante: perché non allargare l’offerta culturale? Una simile quantità di turisti dovrebbe infatti rendere remunerative le aperture anche dei siti per ora chiusi o aperti solo parzialmente. Inoltre, il patrimonio della città andrebbe reso disponibile in modo regolare e continuativo: non solo in occasioni speciali e non solo per i turisti, ma per tutte le persone che vivono a Padova.
Non pensa Mi Riconosci che la generosità delle volontarie e dei volontari sia da sostenere? «La nostra polemica non si rivolgeva ai volontari o alle associazioni, di cui apprezziamo gli sforzi: senza di loro, in mancanza di investimenti sulla cultura, per decenni molte parti importanti della città non sarebbero state accessibili. Noi ci siamo rivolti al Comune e all’assessore Andrea Colasio a cui ribadiamo di nuovo: la nostra bellissima città ha ben dodici siti culturali di primissima importanza per cui il Comune non ha messo in campo nessuna progettazione culturale, non stanzia fondi in modo stabile e non garantisce le aperture. Il risultato è proprio quello segnalato dalle associazioni: si apre quello che si può, come si può e con grandissima generosità da parte dei cittadini che volontariamente si mettono a disposizione. Il problema allora non sono le associazioni, ma l’idea che le istituzioni esprimono del turismo». Una volta ottenuti i riconoscimenti culturali, diventa un affare di vino e polpette, di bacari chic ed enogastronomia. Una vera politica culturale a Padova non c’è. Mentre si vantano numeri da record sulle visite turistiche, restano chiusi i siti e non si assume personale qualificato.
Vedremo se nei prossimi giorni l’Amministrazione comunale vorrà rispondere a Mi Riconosci o se preferirà il silenzio, magari continuando a sperare che al posto suo risponda il mondo del volontariato. Noi invece speriamo che le associazioni non si sentano offese, ma che capiscano la differenza tra lavoro e volontariato. Non è, infatti, innocua la confusione tra le parti, perché spesso dietro al volontariato si nasconde lo sfruttamento di chi lavora e il tentativo delle istituzioni di liberarsi di alcuni dei propri doveri. Insomma, l’apertura di un museo va garantita o no? Se servono due professionisti è giusto assumerne solo uno sperando che il posto vacante sia coperto da un volontario, dicendo pure al professionista che abbassi la tariffa altrimenti di volontari ne saltano fuori due?
Crediamo che i volontari della Croce Rossa non si sentano offesi quando le associazioni degli operatori sanitari denunciano la carenza di medici nel sistema sanitario nazionale. La colpa non è, evidentemente, di chi fa volontariato. E la Croce Rossa non dovrebbe rispondere al posto del ministro della sanità.
Non ci sembra insomma corretto, all’interno di questo dibattito, continuare ad ignorare come in Italia moltissimi settori lavorativi, soprattutto nel terziario, lavoratori e volontari siano messi in concorrenza per contenere i costi
Non ci sembra insomma corretto, all’interno di questo dibattito, continuare ad ignorare come in Italia in moltissimi settori lavorativi, soprattutto del terziario, lavoratori e volontari sono messi in concorrenza per contenere i costi. L’Italia è lo stesso paese che da un lato vanta un alto numero di volontari, o di giovani in servizio civile, o in alternanza, in settori quali quello culturale (che comprende biblioteche, fondazioni, archivi, musei, chiese, scuole, università); e dall’altro è il paese in cui chi in questi settori lavora è meno retribuito e soggetto al peggiore precariato. Si tratta di uno dei dati all’interno di un sistema complesso, certo, che però non può essere ignorato in nome dei sacrosanti meriti delle volontarie e dei volontari.
1 thought on “Cultura: a che serve assumere? Fanno i volontari”
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