a cura dell’Assemblea del Beato Pellegrino
Questo articolo è stato scritto nel corso dell’occupazione del Beato Pellegrino, la sede della facoltà di Lettere dell’università di Padova, il 9 e il 10 novembre. Da tre settimane nei corridoi della sede si riunisce un’assemblea di studenti e studentesse per la Palestina organizzata dallo Spazio Catai che, dopo aver partecipato ai cortei cittadini, alla manifestazione nazionale di Roma il 28 ottobre e all’occupazione di palazzo Bo del 7 novembre, ha deciso di fare un passo ulteriore, di riappropriarsi degli spazi e della didattica dell’università per esprimere la propria voce.
Il senato accademico
Martedì 7 novembre si è riunito il senato accademico dell’università di Padova. Per l’occasione noi dell’assemblea della sede di Lettere, parallelamente ad altre assemblee studentesche, abbiamo diffuso una petizione da far firmare a studenti, ricercatori, professori e dottorandi. A partire dall’appello dell’università di BirZeit la petizione richiedeva che il Bo prendesse una posizione netta a condanna del genocidio messo in atto da Israele nella striscia di Gaza; pretendeva inoltre la cessazione di ogni legame accademico e commerciale con le università israeliane e con le aziende produttrici di armi e l’immediato cessate il fuoco. Siamo rimaste nel cortile di Palazzo Bo aspettando cha la rettrice si presentasse o che ci permettesse di portare all’attenzione del senato le richieste sottoscritte da centinaia di studenti e studentesse.
Siamo riusciti, dopo ore di attesa, a consegnare il nostro appello al prorettore, ma il senato l’ha bocciato. Alla fine, alle otto di sera, è stata emanata una mozione imprevista: l’università di Padova “condanna fermamente” l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ed esprime “sconcerto” e “preoccupazione” per le “azioni” che Israele sta compiendo a Gaza. Bella merda. Per carità, si potrebbe ribattere che almeno ne hanno parlato, almeno si sono posti il problema. Tuttavia, l’hanno fatto ignorando quei saperi come la storia o il diritto internazionale, per esempio, che l’accademia dovrebbe insegnare e rappresentare. Certo, l’hanno fatto senza essere in grado di chiamare le “azioni” di Israele con il loro nome: genocidio, pulizia etnica; senza fare uno sforzo di sincerità ulteriore alla più piatta e sterile equidistanza. Tutti questi almeno non ci sono bastati e non ci bastano.
Occupazione
Così l’assemblea studentesca ha deciso di occupare l’università. Dopo l’intervento, a distanza, di un attivista palestinese da Gerusalemme est, studenti e studentesse sono uscite dall’aula in cui si era svolto il collegamento per riunirsi in assemblea nel corridoio della facoltà. Abbiamo quindi contattato una serie di persone e di attivisti che nell’ultimo mese hanno contribuito a fare informazione e controinformazione sulla questione palestinese e organizzato incontri, assemblee, dibattiti per l’indomani, a cui hanno preso parte non soltanto studenti e studentesse ma anche docenti e ricercatori. La risposta di chi, a prescindere dalla propria posizione in università, ha partecipato all’occupazione è stata, di contro alla posizione espressa dagli organi ufficiali dell’ateneo, chiara e decisa: dalla parte della resistenza palestinese.
Ricerca e libertà
Gli studenti e le studentesse hanno le idee molto chiare sulla Palestina. E la cosa non dovrebbe stupire, in modo particolare, quegli estimatori del sapere critico, della libertà di ricerca e dei flussi di conoscenza internazionali che invece non riescono a comprendere perché mai si richieda, oltre alla cosa più basilare di tutte, il cessate il fuoco (che comunque l’università non ha saputo appoggiare), la cessazione dei rapporti dell’ateneo con le università israeliane.
Perché mai bloccare la ricerca? Perché mai interrompere la collaborazione degli uomini e delle donne di scienza? È molto facile, in realtà, se si mette il naso fuori dalla porta dello studio e si smette di credere che l’università sia un tempio del sapere avulso dalla società, una repubblica delle lettere e delle scienze che esprime i più alti ideali dell’umanismo e via dicendo. Non è così, men che meno in Israele, non soltanto perché l’università è da ben prima del 1948 un’istituzione politicamente centrale nella diffusione del sionismo, non soltanto per l’asservimento esplicito di una significativa parte della ricerca e della didattica a fini sfacciatamente militari, ma soprattutto per il fatto che l’università israeliana è intrinsecamente razzista, che ha due pesi e due misure per israeliani e palestinesi (anche quando hanno la cittadinanza israeliana), e che la risposta alle più basilari espressioni di dissenso, di critica, di sensibilizzazione alla causa palestinese è l’arresto e la persecuzione. A Gaza, invece, le università sono state bombardate e in Cisgiordania la BirZeit University ha lanciato un appello a tutta la comunità accademica internazionale denunciando la connivenza dell’università israeliana con il genocidio in atto a Gaza. Per questo abbiamo deciso di portare la nostra voce al senato accademico e, davanti alla reazione ufficiale dell’università, che reputiamo inaccettabile, abbiamo ritenuto necessario spingere oltre la nostra mobilitazione.
Perché occupare?
Ci si può interrogare sullo strumento dell’occupazione. Per gli studenti e le studentesse che oggi frequentano l’università, per le persone che hanno meno di 25 anni, insomma, le occupazioni studentesche sono qualcosa che si faceva un tempo, non tanti anni fa ma comunque prima che noi si potesse averne percezione. Sembrano la cosa da fare, il limite a cui tendere, la più significativa espressione politica della comunità studentesca, ma comunque non se ne sono fatte per anni. Giovedì sera però, quando l’assemblea ha deciso di rimanere al Beato Pellegrino, nessuno ha esitato. Sembra una banalità, ma si è percepita una forza, una convinzione e una partecipazione che chi ha provato a fare politica dentro e attorno all’università negli ultimi anni non può considerare scontata. Occupare una sede universitaria, prendere il controllo (anche in maniera parziale) della didattica ha un effetto molto specifico sulla presa di posizione degli studenti e delle studentesse rispetto all’università di cui di fatto sono lo scheletro e la carne: significa il rifiuto netto della posizione “ufficiale”, quella del senato, della rettrice, di molti docenti. Significa che noi studenti e studentesse siamo l’università e sappiamo quale posizione deve essere presa.
Cosa fare ora?
L’occupazione si è conclusa, per ora, con un’assemblea che ha deciso il da farsi per le prossime settimane. Ribadiamo le nostre rivendicazioni e ribadiamo che la mozione espressa ufficialmente dall’università di Padova è vergognosa e inaccettabile. Se questo è il massimo che l’ateneo può esprimere, continueremo ad occupare l’università, a riappropriarci della didattica e a scendere in piazza dalla parte della resistenza palestinese. La settimana prossima l’assemblea si riunirà di nuovo e di nuovo scenderà in piazza venerdì 17 alla manifestazione chiamata dai Giovani palestinesi italiani. L’università deve esprimersi con la massima urgenza per il cessate il fuoco e per il rispetto dei diritti umani.