Siamo tutti uguali davanti al Covid (ma alcuni sono più uguali di altri).
La testata online Verona Economia, il 23 marzo 2020, in piena pandemia, ce lo diceva chiaramente: “Il Coronavirus ci rende tutti uguali. Ce lo fa capire, con i suoi attacchi e con le sue vittime”. Ma non è l’unico giornale ad aver sostenuto questa tesi.
Infatti, il Corriere del Veneto, nei suoi aggiornamenti minuto per minuto, alle 14.40 dello stesso giorno, riportava una nota di Mario Moretti Polegato e Enrico Moretti Polegato, presidenti rispettivamente di Geox e Diadora che avevano appena deciso di donare alla Regione Veneto un milione di euro per far fronte all’emergenza “In questo momento storico che stanno vivendo l’Italia e il Veneto è un dovere morale sostenere i nostri medici e infermieri, ogni giorno in prima linea, nella lotta contro un nemico invisibile eppure tanto temibile che ci rende tutti uguali, vulnerabili, inermi”.
Anche l’Eco di Bergamo, testata della città italiana più colpita dal virus, titolava un pezzo, citando una dichiarazione di Emi Gao, manager cinese da 12 anni in Italia: «Io e il virus, incubo vissuto 2 volte. La malattia ci rende tutti uguali».
Se le parole di Emi Gao non vi avessero convinto, fidatevi di Madonna che in un video postato sui social riflette sull’emergenza sanitaria e afferma: “Il Coronavirus è un grande livellatore, ci rende tutti uguali”.
Purtroppo non è così, signora Ciccone, ma in pochi sfuggono a questa retorica. Anche un’attivista di matrice femminista come Lea Melandri scriveva su Il Riformista a proposito di una “indifferente pervasività del virus”.
La positività di politici, imprenditori, imprenditori che fanno politica, attori e calciatori sembrerebbe però confermare questa ipotesi. Da Nicola Zingaretti a Robert Pattinson, da Aida Yespica a Tom Hanks, dal Principe Carlo d’Inghilterra a Guido Bertolaso, da Novak Djokovic al nonno di Fabio Rovazzi, sembra che non esista una presunta immunità di classe.
Il virus non fa preferenze di sesso, classe sociale o luogo di provenienza. È potenzialmente in grado di colpire chiunque. Ma non tutti hanno le stesse occasioni per essere colpiti. E soprattutto, non tutti hanno le stesse tutele.

L’abbiamo visto in piena emergenza: gli operatori sanitari, gli “angeli” della sanità a cui sono stati dedicati murales celebrativi (vedi foto) e che ora possono sfilare sul tappeto rosso della Mostra del cinema di Venezia, non avevano i presidi di sicurezza.
A questa categoria di lavoratori e lavoratrici appartiene il numero più alto di morti sul lavoro registrate durante l’epidemia, ma costoro non sono stati considerati esseri umani abbastanza preziosi, proprio perché temporaneamente innalzati allo status di eroi.
Pare che ai supereroi e alle supereroine si possano chiedere sforzi sovrumani per i quali non è necessario avere accesso a protezioni troppo umane.
Ma anche tra i lavoratori, le famiglie e gli studenti sono state tracciate con più forza linee di demarcazione nette, linee che già esistevano ma che sono state incise nei loro corpi con una chiarezza tanto prevedibile quanto amara.
Le video lezioni non sono arrivate nelle case di chi non aveva un computer o una connessione internet sufficientemente rapida. Le norme di sicurezza, su molti luoghi di lavoro insufficienti o invalidanti, non hanno raggiunto chi lavorava in nero. La consegna dei pacchi spesa organizzata dai comuni non è stata prevista per chi non aveva la residenza. Chi non ha una casa, molto banalmente, non poteva #restareacasa.
L’emergenza giustifica l’estremizzazione delle differenze che le preesistono? No.
Non finché in una qualunque stazione ferroviaria italiana verrà chiesto ai passeggeri se stanno per salire su un treno regionale o su una Freccia per decidere se misurare loro la febbre.
Non finché un lavoratore che rientra dalla Bulgaria o dalla Romania sarà sottoposto a isolamento fiduciario, con tutte le difficoltà che questo comporta, e un turista che torna dalla Grecia avrà la possibilità di fare un tampone gratuito entro 48 ore.
Non finché un imprenditore veneto di ritorno dalla Serbia “Un uomo sicuro di sé, che è partito da un capannone e ha costruito un impero, con 400 dipendenti tra Italia ed estero. Che però si è lasciato ingannare da un falso senso di sicurezza, rifiutando poi di accettare la realtà diffondendo invece il contagio” come afferma il sito di TGCOM 24, risultato positivo al test potrà circolare liberamente, organizzare feste private, partecipare a funerali, mettendo a rischio la salute dei suoi concittadini.
Non finché un imprenditore piemontese positivo al Coronavirus potrà pagare per essere ricoverato in un reparto diverso da quello infettivo.
Non finché, a prescindere dall’emergenza sanitaria in corso, 300 migranti potranno essere privati dei loro diritti e imprigionati in un luogo in cui è disponibile una doccia ogni cento persone.
Forse non esistono passeggeri, viaggiatori, lavoratori e malati di serie A e di serie B. Ma pare che alcuni giochino in un altro campionato. In cui molti sono destinati a perdere.