di Filippo Grendene
Alle 11 arrivano tutti i Comitati degli inquilini e il cancello di palazzo Moroni si chiude. È l’ottavo presidio a partire da giugno, da quando è iniziata la mobilitazione sulle condominiali e le ristrutturazioni delle case ATER di Padova. I numeri con il passare dei mesi sono cresciuti, e ai primi due Comitati se ne sono aggiunti altri 4. Questa volta scende l’Assessore alla Casa, Francesca Benciolini e incontra i manifestanti. Dice che è lì perché l’amministrazione sa che i problemi ci sono, che il problema è del mancato investimento a livello nazionale sulle politiche abitative, che le risorse sono poche ma che si stanno impegnando. Dice che siamo tutti sulla stessa barca.
Una donna dei Comitati risponde: “Non è vero, perché c’è chi in casa ha freddo e chi non ce l’ha”.
I motivi del presidio
Il presidio di oggi arriva dopo una recente comunicazione del Comune, in cui esplicitamente e in via ufficiale si riconosce la gravità della situazione abitativa, e si promettono misure urgenti per affrontare la crescita delle spese condominiali. Si tratta di un risultato importante, perché per la prima volta al riconoscimento della situazione segue una promessa di azioni concrete. I manifestanti però ribadiscono l’insufficienza della risposta: non c’è infatti un’apertura a una partecipazione dei diretti interessati, la cui voce non è messa al centro; non prende in considerazione le urgenti manutenzioni, che rendono molte abitazioni insalubri; e soprattutto manca all’appello l’ interlocutore centrale, ATER (l’azienda regionale, con struttura provinciale, per l’edilizia residenziale pubblica), che fino ad ora ha rifiutato di riconoscere i Comitati e di avviare un’interlocuzione.
Il 2022 nelle case ATER
Il 2022 è stato l’anno nero per la situazione abitativa a Padova. L’aumento della richiesta e la speculazione privata hanno determinato una crescita degli affitti per studenti del 43% rispetto all’anno precedente; la guerra e ancora la speculazione, ma questa volta internazionale, hanno fatto schizzare alle stelle le bollette, che a loro volta hanno trainato le spese condominiali soprattutto negli edifici in cui il riscaldamento è centralizzato.
Già a partire dalla tarda primavera i segnali della gravità della situazione si sono fatti pressanti. In molti blocchi di case gestite da ATER sono stati recapitati bollettini per spese condominiali esorbitanti: fino a 7000 euro all’anno, quasi 600 euro al mese. Si tratta di una situazione inedita: data la riconosciuta difficoltà a procurarsi un’abitazione sul mercato privato, gli affitti Ater sono commisurati agli indicatori ISEE. Si va dalle poche decine alle poche centinaia di euro al mese, oltre ai quali inquilini ed inquiline erano abituati a spese sostanziose ma sostenibili. In questo momento, invece, per centinaia di famiglie in città le spese condominiali possono superare di tre o quattro volte gli affitti. La situazione generale del patrimonio edilizio pubblico è spesso così disastrata, con acqua che cola all’interno delle abitazioni, distacchi di intonaci, fognature che si intasano ogni settimana, che canoni così esorbitanti sembrano agli inquilini una beffa.
È il caso del blocco di case ATER fra via Brofferio e via Vivanti, in Guizza, dove gli aumenti sono stati particolarmente sostanziosi, e dove capita che per più giorni il riscaldamento non funzioni. Risalenti a mezzo secolo fa, i tubi non sono in grado di reggere la pressione dell’impianto, per cui dopo alcuni giorni in funzione scoppiano, lasciando periodicamente al freddo decine di famiglie. ATER, amministratori, aziende di manutenzione sanno che è tutto da rifare, e che xe peso el tacon del buso; si tira avanti, ma intanto gli inquilini devono pagare e stare al freddo.
Fra le cause dell’innalzamento dello scontento di chi abita in case ERP (edilizia residenziale pubblica) c’è dunque la mancanza di manutenzioni. In alcuni blocchi, come in via Pinelli, è stato questo il motivo principale che ha spinto alcuni inquilini a unirsi in comitato, per chiedere all’ATER un’interlocuzione seria e attenta. A completare il quadro vi sono le case popolari sfitte (più di 1300 nel comune) e quelle in vendita (250 in città entro il 2026).
Fuori dall’ERP
Fuori dall’ERP la situazione è addirittura più grave. La crescita degli affitti studenteschi ha portato molti proprietari a cercare di sfrattare i propri inquilini per poter aumentare le pigioni, mentre inflazione e salari fermi da decenni rendono sostanzialmente impossibile per una famiglia monoreddito poter affittare una casa. Spesso lo sfratto arriva al termine del contratto, che non viene rinnovato: gli affitti attuali non consentono di trovare una casa alle stesse condizioni di quella che si lascia, o non consentono di trovare una casa punto. Altri fattori, come l’insistenza di discriminazioni razziali e di genere, fanno sì per esempio che una donna straniera con figli e reddito operaio non possa realisticamente trovare casa sul mercato privato in città. Cosa dovrà fare? Di chi è la colpa? In provincia gli ultimi dati del Ministero degli Interni, risalenti all’autunno, parlano di 1000 sfratti pendenti.
Le istituzioni cittadine hanno fornito risposte insufficienti per affrontare la situazione. Le proposte del comune sono quelle di dividere le famiglie degli sfrattati, mandando le donne e i bambini in strutture a 25 euro al giorno (a testa!) e gli uomini adulti per strada; per le spese condominiali esorbitanti delle case ATER non ci sono risposte. L’ATER e la regione, invece, non sembrano semplicemente aver intenzione di affrontare il problema.
La mobilitazione
A partire dalla tarda primavera, stanchi di non ricevere risposta, inquilini e inquiline di alcuni gruppi di case ATER hanno iniziato a riunirsi in comitati. Il comune avrebbe voluto che chi è in difficoltà andasse individualmente a chiedere ai servizi sociali, che avrebbero esaminato il caso. La lentezza e l’inconsistenza delle risposte istituzionali ha provocato una stanchezza per cui è stato rispolverato il vecchio adagio per cui l’unione fa la forza. Certo, la risposta individuale a problemi collettivi è quella a cui il comune è abituato; ma nel corso del tempo sono emerse alcune questioni che hanno cambiato gli atteggiamenti dei cittadini. Ad esempio, perché chi abita in una casa ERP deve chiedere quella che da tanti è percepita come una carità, quando lavora 40 ore la settimana? Molti negli anni hanno scelto di risparmiare sul cibo e sui vestiti, per scelte che hanno a che vedere con la percezione della dignità. Perché non è possibile, lavorando duro, avere una vita degna? Andare in vacanza una settimana l’anno, portare i figli a vedere il mare, mangiare sano senza avere gli incubi la notte? Unirsi e chiedere compatti un proprio diritto è un’opzione, appunto, dignitosa.
Ci sono stati due presidi fra giugno e luglio, e un primo incontro con l’assessora alla Casa Francesca Benciolini il 3 agosto. È stato chiesto di attendere, per le opportune verifiche: ci si sarebbe rivisti entro fine settembre. Il termine passa ed è necessario un altro presidio per poter parlare con Benciolini e con una dirigente dell’ufficio casa, Chiara Aliprandi. Anche qui vengono forniti dati, le interlocutrici si dicono consapevoli del problema, ma non sanno come intervenire.
Un altro presidio. Arriva il freddo, i tubi scoppiano e la muffa riemerge.
Un’ulteriore spinta porta, il 30 novembre, a un incontro con il sindaco di Padova Sergio Giordani. Nel corso dell’udienza il primo cittadino ascolta le testimonianze dei residenti, si stupisce del numero di case sfitte e delle gravi condizioni di molti immobili; fa un importante passo, cioè afferma di voler chiedere l’apertura di un tavolo con ATER. Un tavolo in cui far confluire tutte le problematiche e la possibilità di affrontare i problemi, uno spiraglio di luce per i Comitati, che a inizio dicembre sono ormai sei e attendono una risposta. Nel frattempo ATER fa partire le lettere di sollecito al pagamento agli inquilini, si risponde con una lettera in cui si chiede di smettere di ignorare l’interlocuzione istituzionale in corso e, più in genere, la situazione; come risposta giunge, dall’ente regionale, la comunicazione che su affitti e spese non pagate verranno applicati gli interessi di legge dopo 15 giorni dal mancato versamento. Davanti alle difficoltà oggettive degli inquilini ATER non trova altra risposta che la minaccia e il ricatto.
Gli ultimi aggiornamenti
Pochi giorni fa, il 17 gennaio, infine arriva una prima risposta del Comune, a firma Giordani, Benciolini e Sara Bertoldo (Capo Settore dei Servizi Sociali), in cui si afferma:
Per far fronte alla morosità, lo scrivente Settore ha in corso il rinnovo del Protocollo d’intesa per la riduzione del disagio abitativo; lo stesso prevede misure per contenere anche le spese condominiali.
Il Settore sta, inoltre, valutando strumenti specifici in relazione ai condomini più esposti dal punto di vista economico.
Dopo otto mesi di mobilitazione, è la prima volta che si riesce a ottenere un’apertura per iscritto, anche se minima e insufficiente, e solamente dal versante dell’Amministrazione. Per arrivare a questo risultato è stato fondamentale il protagonismo degli inquilini e delle inquiline, in grado di tener duro in una situazione difficile e di non perdere l’unità. Un lavoro minuzioso, di discussione e di impegno collettivo, che è riuscito a mettere assieme in una stessa piattaforma esigenze anche distanti sotto un denominatore unico, il diritto all’abitare. Manca ancora molto: non ci sono risposte sulle manutenzioni, manca l’interlocuzione di ATER, manca una proposta complessiva e programmatica sull’abitare in città. Dalla prossima settimana riprendono gli sfratti, si ripropone di dividere le famiglie, le tubature riprendono a scoppiare. Però il presidio di oggi, orgoglioso e combattivo, indica la strada.
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