Forse ci stiamo abituando.
Ci stiamo abituando ad avere un governo fascista, spesso immortalato nell’atto di coprire i suoi scandali (da ultimo il caso del deputato pro-gun che avrebbe ferito una persona a Capodanno) mentre lontano dai flash prepara riforme pericolosissime come il premierato e l’autonomia differenziata (ne abbiamo parlato qui). Ci stiamo abituando ad assistere a una guerra imperialista in Europa, che nella sua forma più esplicita dura da quasi due anni (ma in realtà è in corso da molto più tempo), e che, secondo alcune stime, arriverà a fare mezzo milione di morti solo nell’esercito russo. Ma ci stiamo abituando anche agli accordi criminali con i Paesi del Nordafrica e alle condizioni precarissime in cui i migranti, che nonostante tutto arrivano sempre più numerosi, vengono costretti a vivere, anche nella nostra regione (di recente ne abbiamo parlato qui e qui).
Ci stiamo abituando al fatto che, mentre si parla di transizione ecologica, si continui a devastare il territorio (vedi qui, qui, qui) e che, con moltissimi edifici inutilizzati e continue nuove costruzioni, il costo dell’abitare si sia stabilizzato su valori molto più alti rispetto a pochi anni fa (vedi ad esempio qui) – per non parlare della carenza di alloggi per le persone che ne avrebbero bisogno: un male cronico che sabato, a Padova, è costato la vita a tre persone (ne abbiamo parlato qui). In Veneto poi ci siamo già da molto tempo abituati alla pittoresca presenza del nostro presidente Luca Zaia (2010-in carica), il quale, con le sue discutibili trovate pubblicitarie (ad esempio questa), le sue battaglie per la pista da bob a Cortina e le sue preziose pubblicazioni si avvia a ricandidarsi per l’ennesimo mandato.
Forse invece non ci stiamo abituando. Non tutti, non a tutto.
Nei mesi che ci separano dal nostro ultimo editoriale i fatti che hanno fatto più parlare di sé sono due. Il primo è il riattivarsi della guerra di Israele contro la Striscia di Gaza, dopo l’attacco di Hamas verso vari obiettivi israeliani del 7 ottobre. I precedenti sono noti: decenni di incursioni, raid, posti di blocco, bombe e atti diplomatici da parte di Israele volti a fare di Gaza una grande prigione a cielo aperto e a mantenere i suoi abitanti in un perenne stato di fame, povertà e privazione di dignità. Nelle settimane successive, mentre il ministro della difesa israeliano parlava di una guerra contro degli «animali umani», Israele ha lanciato un assedio totale interrompendo le forniture di acqua, gas ed elettricità verso Gaza. Da quel momento gli attacchi sono continuati, senza riguardo per civili, scuole, università, ospedali, in una operazione di sterminio che assomiglia molto a un genocidio.
Anche se questi fatti hanno scosso tutto il mondo occidentale, molte realtà e istituzioni non sono riuscite a prendere una posizione netta: rimane troppo forte il filtro colonialista, che impedisce di vedere da che parte stiano gli oppressi e da quale gli oppressori. Alcuni hanno taciuto, altri hanno tentato di mantenere un’artificiosa equidistanza. Molti altri però si sono mossi, soprattutto gli studenti e le studentesse, con manifestazioni e l’occupazione di diverse università (in Italia Napoli, Bologna, Torino…). Noi di Seize the Time abbiamo concentrato lo sguardo su Padova e abbiamo riportato le prime fasi del dibattito cittadino (qui) e soprattutto l’occupazione del Polo Beato Pellegrino dell’Università da parte dello Spazio Catai (qui), che dopo il nostro articolo ha avuto un lungo seguito. Ancora oggi, a tre mesi dalla ripresa del conflitto, l’obiettivo è di continuare a parlare di Palestina e a Padova molti spazi stanno continuando a farlo. Abbiamo inoltre pubblicato un podcast, Falastin Falastin, in solidarietà al popolo palestinese e per sottolineare quanto, nonostante settantacinque anni di occupazione, la cultura palestinese sia viva e mantenga integra la propria identità.
L’altra notizia che ha fatto molto parlare di sé è partita proprio dalla nostra regione: si tratta dell’omicidio di Giulia Cecchettin, avvenuto sabato 11 novembre ma accertato solo il 18, con il ritrovamento del corpo presso il lago di Barcis in Friuli. Tra le due date, un periodo con il fiato sospeso in cui Giulia e il suo assassino – l’ex fidanzato Filippo Turetta – risultavano «solo» scomparsi, ma quasi tutti sospettavamo il peggio. Dopo che è stato chiarito l’accaduto, e anche grazie ad una lettera aperta di Elena, la sorella di Giulia, si è scatenata una grande ondata di rabbia che ha dato vita a importanti manifestazioni, come quella di Roma del 25 novembre. Da parte delle istituzioni sono fioccate le risposte preconfezionate (pubblicità progresso che invitano le donne a denunciare le violenze, annunci di inasprimenti delle pene o di intensificazioni dei controlli da parte delle forze dell’ordine), le aziende naturalmente si sono scatenate, ma da varie parti si è anche tentato di fare alcune riflessioni sensate sull’accaduto. Su Seize the Time abbiamo dato spazio a una riflessione sulle ricadute della vicenda (qui) e a un possibile punto di vista «maschile» (qui).
Naturalmente ci sono state diverse altre mobilitazioni negli ultimi mesi, e molti altri percorsi procedono senza essere legati a una particolare contingenza. Di alcune di queste realtà abbiamo parlato nei nostri articoli o nella nostra rassegna settimanale Seize the Week. Abbiamo dato spazio, per esempio, al percorso per un lavoro etico nella Biennale di Venezia (qui), alla mobilitazione contro una nuova lottizzazione a Monteortone (qui) e abbiamo pubblicato un bilancio delle varie mobilitazioni per il diritto degli studenti alla casa (qui). Abbiamo raccontato il percorso Padov-HA!, che promuove la cultura Ballroom a Padova sfidando i ruoli di genere tradizionali e le identità eteronormative (qui), e abbiamo proseguito la nostra indagine alla scoperta dello sport popolare diffuso e resistente nel Veneto dando la parola alla Palestra Popolare Chinatown (qui) e all3 ragazz3 della squadra femminile del Quadrato Meticcio di Padova (qui). Movimenti, gruppi e collettivi che, dal basso, portano avanti quotidianamente lotte e pratiche di libertà, tenendo viva la possibilità di una relazione migliore tra le persone e con il pianeta.
Per non doverci accorgere, troppo tardi, di esserci abituati al peggio.