di Laura Ferro e Chiara Bacchi
Sabato 15 aprile i giornali hanno dato notizia dell’indagine per associazione a delinquere nei confronti di Ultima Generazione, una campagna di disobbedienza civile nonviolenta nata come forma di lotta contro la crisi climatica ed ecologica. L’ipotesi di un reato associativo nei confronti degli ambientalisti ha suscitato perplessità nell’opinione pubblica, mettendo in luce una sproporzione nelle misure che il governo italiano minaccia di mettere in atto davanti alle richieste di attiviste e attivisti. Abbiamo intervistato due attivisti, per sentire il loro punto di vista sull’accaduto e approfondire obiettivi e metodi della campagna.
Ultima Generazione è una campagna con strategie e obiettivi precisi. Quali sono le forme comunicative di cui vi servite, a livello nazionale e locale? In particolare, cosa si intende quando si parla di disobbedienza civile nonviolenta?
ISMAELA: Per disobbedienza civile nonviolenta intendiamo fare azioni che creano una sorta di disturbo. Metodo “nonviolento” significa che non si fa del male e non si danneggia nessuna persona e nessun oggetto. Questo viene fatto perchè è un metodo efficace per portare l’attenzione su una richiesta. Nel nostro caso, chiediamo al governo italiano di smettere di investire fondi pubblici nei combustibili fossili. Lo facciamo attraverso blocchi stradali, imbrattamenti, scioperi della fame, perché se non disturbi le persone non attiri l’attenzione. Da anni vengono fatti cortei, petizioni, manifestazioni, ma non hanno portato a nulla. Purtroppo, quelle strategie non ricevono ascolto. Se blocchi il GRA (Grande Raccordo Anulare) per un mese, i giornali parlano di te e finisci in televisione. Questa campagna esiste non a caso da circa un anno e da allora si è iniziato davvero a parlare di cambiamenti climatici nei giornali e in TV.
Per quanto riguarda il metodo comunicativo che usiamo, cerchiamo di richiamare nuove persone, organizzando presentazioni a livello locale, pubblicizzando anche tramite locandine e social. Spieghiamo alle persone la situazione, di cui spesso nel nostro paese le persone non hanno coscienza, nonostante sia da più di 30 anni che gli scienziati ne parlano. Il fatto che ci sia poca comunicazione a riguardo rende necessario cercare di spiegare la situazione. Proviamo anche a spiegare la disobbedienza civile: spesso non si capisce il senso della disobbedienza civile, che non è qualcosa di inventato da Ultima Generazione. è metodo di protesta usato da secoli anche in tutto il mondo ed è statisticamente provato che se la protesta è nonviolenta può portare a un esito positivo. Non è fatta a caso. Sono cose pensate e non ci divertiamo a disturbare bloccando le strade. Però funziona: ci permette di ottenere spazio mediatico e di chiedere pubblicamente a Meloni e al governo di smettere di investire nei combustibili fossili. Ci sono un sacco di soldi pubblici ogni anno investiti nell’industria fossile che si potrebbero investire per realizzare concretamente questa transizione.
LEONARDO: Aggiungo e preciso quello che stiamo chiedendo al governo, che mette 41 miliardi di euro all’anno in sussidi diretti alle fonti fossili (ovvero la prima causa della crisi ecologica e climatica, aumento temperature medie e concentrazione di co2). è proprio sui finanziamenti al fossile che dobbiamo intervenire per avere la minima speranza di avere un impatto. Nel 2018, l’89% delle emissioni di CO2 derivava da fonti fossili a livello globale.
Il 15 aprile i giornali hanno fatto uscire la notizia che 12 di voi sono indagati per associazione a delinquere. Perchè è così grave la definizione di associazione a delinquere? come vi colpisce il fatto di essere accostati a un reato associativo?
ISMAELA: Si tratta di una misura repressiva e sproporzionata agli occhi di tutti. Personalmente, non mi aspettavo che le istituzioni potessero arrivare a tanto. Un’indagine per associazione a delinquere nei nostri confronti significa mettere delle brave persone (studenti, lavoratori, figli, fratelli, madri e padri) sullo stesso piano di pericolosi criminali che si accordano insieme per truffare, uccidere e derubare. Questo è folle. Considerando che ogni anno stanno morendo migliaia di persone. Ci sono stati 70.000 morti per inquinamento solo lo scorso anno in Italia. Stiamo già razionando l’acqua. Eppure, quello che si fa è spendere energia a livello di misure legali per reprimere persone che cercano di fare del bene alla collettività…perché quello che noi stiamo facendo è opporci alla morte di migliaia di persone. Senza contare che è anche inutile cercare di impedire alle persone di fare disobbedienza civile, perché la paura di soffrire fame e sete è molto più forte della paura di finire in carcere. La vita umana ha per me un enorme valore: è questione di ridare il giusto peso cosa è davvero importante.
LEONARDO: Noi non siamo troppo preoccupati dall’indagine. Io sono una delle persone indagate, ma ho molto più paura della crisi climatica che di quello che può farmi lo stato italiano mandandomi in carcere. Già in Inghilterra e in Germania la scelta di reprimere persone nonviolente che cercano di amplificare la voce della scienza si sta rivelando un boomerang per le autorità. Ci troviamo davanti ad uno scenario di crisi planetaria in cui, con le politiche attuali, siamo certi di un aumento di 3,5°C della temperatura media globale. Questo significa scenari apocalittici e morte per centinaia di milioni di persone. Le Nazioni Unite, Medici Senza Frontiere, la Croce Rossa, persino l’esercito degli Stati Uniti dicono che la crisi climatica è un problema per la sicurezza globale. Eppure si continua a investire nella nostra estinzione. Noi pensiamo di essere dalla parte giusta della storia, dalla parte dei più deboli, di coloro che vivono nei paesi più duramente colpiti da questa crisi e impossibilitate a cercare di influenzare le politiche globali. L’unica cosa che ci resta da fare, la missione della nostra generazione, è entrare nella disobbedienza civile e iniziare a pensare che in fondo non cambia molto se ti danno 10 anni di carcere e delle multe.
Pensando a una indagine per associazione a delinquere e alle misure repressive che le istituzioni adottano nei vostri confronti, chiunque si immaginerebbe azioni pericolose per l’ordine pubblico. Ma quali sono le azioni compiute a Padova in questi ultimi mesi? Ci si aspetterebbe che misure così repressive vengano impiegate per far fronte ad azioni quantomeno pericolose per l’ordine pubblico. Quali sono effettivamente le azioni che avete portato avanti a Padova?
LEONARDO: Nell’ordine, ecco ciò che abbiamo fatto: un blocco del traffico di 10 minuti, in cui una persona sola si è seduta con un cartello all’incrocio con Via Altinate; poi uno di 15-20 minuti in via Venezia, uno di 20-25 minuti sulla statale Valsugana e poi uno in via Ugo Bassi di 15 minuti fatto tre settimane fa. Una summa di un’ora totale di blocchi nell’arco di un anno e mezzo. Un’altra azione significativa è stata quella alla Cappella degli Scrovegni, in cui due attivisti si sono legati con le catene. Insomma, non è stato causato questo mare di disagi per la città tanto da dover arrivare ad accuse del genere. Detto questo, ci prendiamo le nostre responsabilità a viso scoperto.
Quindi è grave l’entità dell’indagine, ma non la vostra ricezione…
LEONARDO: L’indagine è grave perché si parla di “associazione a delinquere” riferendosi a persone nonviolente, ma non per coloro che investono attivamente nella morte di centinaia di milioni di persone. Queste persone stanno ai vertici della nostra società, non hanno preoccupazione per l’impatto che la crisi climatica ed ecologica avrà sulle loro vite, dato che scapperanno su Marte, vivranno sui loro Yacht privati in mezzo all’oceano, si chiuderanno in compound con le guardie armate. Queste persone pensano che se la scamperanno. Ma non è detto per loro…figuriamoci per noi! Due pesi due misure, quindi: come con gli attivisti indigeni in tutto il pianeta, si mette in prigione chi fa disobbedienza civile mentre chi perpetua il business as usual resta intoccato.
Da quanto accaduto nella nostra città si evince un cambiamento nelle reazioni delle istituzioni alle azioni di Ultima Generazione. La reazione delle istituzioni sembrerebbe paradossale: è sempre più grande l’urgenza di intervenire rispetto alla crisi climatica, ma anche la repressione cresce sempre di più. Notizia recente è quella della mozione approvata a Genova per l’installazione di telecamere a controllo dei monumenti pubblici. Secondo voi, le risposte delle istituzioni sono effettivamente cambiate?
LEONARDO: Decisamente, perchè si tratta di proteste scomode, non convenzionali. Proprio per questo tante persone si rendono conto che stiamo dicendo la verità, che effettivamente descriviamo quello che sta succedendo. La nostra voce rivela a persone comuni che i propri governi mentono da 20-30 anni, che fanno attivamente profitti sulla morte dei cittadini e non vogliono davvero cambiare questa situazione. È difficile per i governi accettare che una parte della popolazione sempre più consistente scenda in strada. Certo, la prima accusa che ci viene mossa è che attraverso la nostra strategia comunicativa ci inimichiamo la gente. Pensiamo però all’iniziativa Just stop oil del Regno Unito: il 18,6% della popolazione inglese si è dichiarato d’accordo con gli attivisti, con le loro tattiche. Anche se ci fosse solo il 5% della popolazione che fosse disposto a protestare con noi sarebbe un grandissimo problema per il governo. È proprio questa la vera minaccia. Le istituzioni sono sempre state pronte a fare leggi in tempi record per punire gli attivisti (si veda l’indagine per associazione a delinquere). Per i problemi davvero importanti come stanno agendo? Ne sveliamo così tutta l’ipocrisia.
ISMAELA: Come ha detto Leonardo, siamo molto scomodi e non più invisibili. Parliamo di un governo che ha palesemente l’intenzione di continuare ad investire nei combustibili fossili. Non stiamo chiedendo niente di impossibile. Ci sono molti SAD (sussidi ambientalmente dannosi, parliamo di miliardi) investiti ogni anno nel fossile direttamente e indirettamente. Degli investimenti diretti, 14 miliardi potrebbero essere reinvestiti immediatamente in cose utili, come l’efficientamento del sistema idrico, dato che perdiamo il 40% dell’acqua a causa delle tubature difettose. I soldi ci sono e sono utilizzabili, ma manca la volontà da parte del governo, che invece continua a mettere tante energie per reprimere le nostre richieste.
Torniamo al vostro metodo e allo strumento della disobbedienza civile non violenta. Voi mirate a sensibilizzare l’opinione pubblica e a far sì che vengano prese determinate scelte dalle istituzioni. Inevitabilmente si pone il problema della difficoltà di comunicare, non solo cos’è e come si articola crisi climatica, ma anche l’urgenza che sentite…un’urgenza che si dà sul piano emotivo. Allora può capitare che le persone coinvolte (loro malgrado) in un blocco stradale pensino che se protestate è perchè potete permettervelo. Per fare disobbedienza civile serve un certo grado di privilegio oltre che di coinvolgimento emotivo?
LEONARDO: Noi non facciamo sensibilizzazione. Diciamo che è un obiettivo secondario, un effetto collaterale. C’è gente che sa sensibilizzare meglio di noi e che cerca di farlo da 30 anni. Le nostre azioni hanno lo scopo di arrivare a quante più persone possibili per interrompere la loro quotidianità. Inevitabilmente si chiederanno: “Cosa stanno facendo quelle persone?”, “Cos’hanno in mente?”. Lo scopo finale è quello di spingere così tanta gente a bloccare le strade da causare un grande disagio economico. In questo modo il governo si trova davanti a due possibilità: attuare una repressione più seria o scendere a compromessi, mettersi al tavolo delle trattative. Detto ciò l’ostacolo comunicativo è effettivamente un problema. Di certo l’obiettivo delle nostre azioni non è spingere le persone che sono bloccate ad unirsi a noi. A parte qualche rara eccezione non funziona. Le persone si innervosiscono, non ti ascoltano. Ciò che si prova a spiegare loro è che il disagio che stanno vivendo adesso non è nulla in confronto a quello che subiranno se non si farà qualcosa per mitigare la crisi climatica.
Certo, in effetti è anche una questione di privilegio. Non tutte e non tutti hanno la possibilità di mettersi in mezzo ad una strada senza doversi preoccupare delle potenziali conseguenze legali. Nel 90% dei paesi del mondo, se le persone provassero a fare quello che stiamo facendo noi in Italia e negli altri paesi della rete A22 finirebbero in galera non per un mese, ma per decenni…o nel peggiore dei casi uccise perché stavano difendendo la loro terra, proprio come successo a Berta Cáceres.
Lo è anche in un senso più ampio perché siamo solo noi nella parte privilegiata del mondo ad avere l’opportunità di essere realmente ascoltati. Noi crediamo però che tutte le persone che se la sentono di mettere il proprio corpo a disposizione della causa debbano farlo, perché tutto ciò è molto più grande di noi. Abbiamo il dovere morale di dover cambiare la situazione. Vogliamo essere ricordati come coloro che sapevano, ma non hanno fatto tutto ciò che era in loro potere fare per fermare la catastrofe? o come coloro che hanno lottato per un mondo migliore?
In nome di questa motivazione morale, allora, anche il tema del privilegio e della classe è qualcosa che passa in secondo piano…
ISMAELA: Vorrei aggiungere una riflessione a quello che ha detto Leonardo. Infatti, c’è proporzionalità tra il numero di persone che fanno disobbedienza civile e le conseguenze che esse subiscono. Se invece di 3 tre siamo in 1000 mille a bloccare una strada il rischio legale, o di qualunque altro tipo, si abbassa di molto. È importante tenere a mente questo: è semplicistico e riduttivo il pensiero che noi manifestiamo perché, in fondo, ce lo possiamo permettere. In realtà tutti noi andiamo incontro a delle conseguenze quando decidiamo di fare le nostre azioni.
Il problema in Italia è anche che le persone culturalmente non sono abituate a ribellarsi alle ingiustizie che subiscono. Guardiamo all’esempio della Francia: per ogni piccolezza, la gente scende in strada. In Italia questo non si è mai visto. Solo con il tempo, forse, le persone riusciranno ad accettarlo. Paradossalmente, se si tiene una manifestazione autorizzata (anche molto numerosa) il giorno dopo si sono dimenticati tutti, perché non è stato creato alcun disagio. Se blocchi una strada, fai in modo che una persona si ricordi di quel giorno e si domandi del motivo di quell’azione: questo crea davvero un impatto. Il punto allora non è il privilegio di poter partecipare a queste azioni, il punto è che non dovremmo poterci permettere di non farlo.