di Spazio Catai
Nelle ultime settimane si è parlato molto di Università, Palestina, accordi con Israele, bando MAECI. Gli studenti di Potere al Popolo e dello spazio Catai e l’Assemblea Permanente per la Palestina del Polo Beato Pellegrino, con mesi di militanza, presidi e manifestazioni, interlocuzioni e scontri, sono riusciti a portare il tema alla discussione, dentro a Palazzo Bo e fuori, sul piano mediatico. Contemporaneamente, la risposta dell’Università si è irrigidita, segnando un inedito patto d’azione fra Rettorato e Questura. Cosa è successo negli scorsi giorni?
Che cos’è il bando MAECI?
Si tratta di un bando di collaborazione fra le università italiane e quelle israeliane che passa direttamente attraverso il ministero degli affari esteri e della collaborazione internazionale (appunto: MAECI). Esiste da anni; vengono assegnati dei fondi in ingresso e le varie università partecipano. Quest’anno la scadenza era il 10 aprile.
Ogni anno vengono identificate aree di interesse per le quali si aprono dei bandi cui università e dipartimenti partecipano. Quest’anno le aree di interesse sono tre: lo sviluppo di nuovi fertilizzanti e prodotti legati all’agricoltura; tecnologie idrauliche per il trattamento e la distribuzione dell’acqua; tecnologie ottiche di precisione. A Padova come nel resto d’Italia si sono criticate aspramente possibili implicazioni dual use di questi accordi: se le tecnologie ottiche sono di immediato valore militare, le prime e le seconde si inseriscono all’interno della costruzione di quell’apartheid verde, messo in atto da Israele nello sfruttamento delle terre e delle risorse naturali palestinesi.
Il contesto italiano
La contestazione al bando MAECI di quest’anno ha avuto un ruolo simbolico all’interno delle forme di mobilitazione per la Palestina e di boicottaggio di Israele. Il bando, infatti, assume un ruolo di primo piano, coinvolgendo direttamente ministero italiano e governo israeliano, ma permette anche, non solo simbolicamente, di praticare un efficace boicottaggio accademico, che intende impedire che la ricerca e la tecnologia sviluppata all’interno delle università italiane siano usate da Israele per perseguire i propri scopi politici e militari in Palestina.
Ecco perché le mobilitazioni si sono concentrate su questo punto. Tutto è iniziato da Torino, quando una delegazione studentesca si è presentata al Senato accademico e ha proposto una mozione di rigetto del bando 2024, che è stata approvata. A questo punto anche la Normale di Pisa si è mossa attraverso una richiesta al Ministero di effettuare una verifica sul rispetto, in merito al bando, di garanzie sui diritti umani e dell’articolo 11 della Costituzione. Contemporaneamente, una lettera aperta al MAECI veniva sottoscritta da circa tremila docenti, ricercatori e membri del personale tecnico amministrativo.
In numerose università d’Italia gli studenti, a volte assieme al resto della comunità accademica, si sono mossi per provare a bloccare la partecipazione al bando attraverso le vie della contestazione di piazza e delle mozioni ai vari senati accademici, con successi alterni, in un contesto repressivo che ha avuto vasta eco presso mezzi di informazione e opinione pubblica.
L’Assemblea Permanente per la Palestina, che da novembre si riunisce al Polo Beato Pellegrino, fra marzo e aprile si è concentrata sulle possibilità di boicottaggio accademico a Padova, andando a indagare gli accordi di UNIPD con le università israeliane e con aziende private; sull’estrattivismo e sui rapporti dell’Università con ENI (che ha avuto l’autorizzazione israeliana ad attività esplorative illegali in territorio palestinese); sulle relazioni accademiche padovane con aziende del settore della difesa, a partire da Leonardo. Di qui il tentativo di bloccare l’approvazione del bando MAECI al senato del 9.
Il Senato Accademico del 9 aprile
L’Assemblea del Polo, in vista di questa scadenza, ha scritto una lettera aperta ai membri del Senato accademico, chiedendo di sostenere il boicottaggio dell’accordo MAECI e di ammettere la presenza di una delegazione studentesca in fase di discussione.
A causa delle procedure formali necessarie alla redazione dell’ordine del giorno del Senato accademico vigenti a Padova non è stato possibile discutere la mozione dell’assemblea. Si sono palesati l’indisponibilità e il disinteresse nei confronti di questa proposta.
I rappresentanti studenteschi dell’UDU hanno presentato una loro mozione, che chiedeva blandamente al Ministero una verifica sulla compatibilità del bando MAECI col quadro internazionale e costituzionale, sulla falsariga della Normale di Pisae proponeva una sorta di autocontrollo dell’università rispetto ad altri accordi con atenei israeliani e aziende a rischio di uso bellico. La mozione è stata comunque bocciata, 11 contrari, 11 astenuti e 3 favorevoli: gli interessi di Israele non si toccano.
Cosa succedeva intanto fuori dal Palazzo? Alle 13 un gruppo di studenti ha tentato di raggiungere le scale del rettorato a palazzo Bo per incontrare direttamente la rettrice e i senatori. Hanno invece incontrato digos e carabinieri che, all’interno dell’università, li hanno gentilmente invitati ad uscire. Il presidio chiamato per le 14 ha quindi tentato di entrare nel Palazzo, i cui ingressi erano stati blindati: per due volte si è dovuto confrontare con un ingente schieramento di polizia in assetto antisommossa.
Il rapporto fra forze dell’ordine e università si è fatto, in questi mesi, sempre più stretto: se fino a un decennio fa alla polizia era sostanzialmente precluso l’accesso alle università, in occasione di questo e di altri presidi si è rafforzato l’accordo fra rettorato e questura. In occasione della conferenza stampa indetta il successivo 10 aprile, quattro studenti sono stati scortati da una decina di membri della DIGOS. A Palazzo Bo è più facile trovare la polizia degli studenti, la rettrice per mesi non si è resa disponibile a un confronto: sulla Palestina la risposta dell’Università è il silenzio e la repressione.
Aula Ederle occupata
Davanti alla bocciatura della mozione UDU e alla repressione poliziesca, gli studenti si sono riorganizzati cercando le forme più efficaci per ottenere un incontro pubblico con la Rettrice, come già è successo presso altri atenei italiani. Data la sordità alle richieste di un’interlocuzione che da mesi vengono indirizzate in rettorato per vie formali, l’Assemblea Permanente ha deciso per l’occupazione dell’aula Ederle a Palazzo Bo il 17 aprile. Davanti a questa mossa Daniela Mapelli ha acconsentito ad avere un’interlocuzione a porte chiuse con una delegazione di due studenti. Le sue risposte: non parteciperà ad alcuna assemblea pubblica; il Senato si è espresso sul boicottaggio accademico e la sua posizione non si ridiscute; gli accordi con ENI e Leonardo non si toccano.
Gli studenti hanno deciso di prolungare l’occupazione per la notte e di lanciare un’assemblea cittadina per il giorno successivo, aperta a tutti i settori dell’Università, che ha visto un’ampia partecipazione ulteriore sia alla dimensione del movimento che a quella studentesca. Ad aula piena si è deciso di muoversi in direzione di un allargamento della mobilitazione per il boicottaggio, intervenendo nel più alto numero possibile di dipartimenti con incontri e interlocuzioni coi docenti. Si è deciso anche di proseguire con l’assemblea pubblica, che si riunirà tra due settimane con l’obiettivo di scrivere una nuova mozione da presentare al prossimo Senato accademico.
Dentro l’università il boicottaggio accademico è l’arma più importante a disposizione per colpire direttamente gli interessi economici e simbolici di Israele. Collaborare con le università israeliane significa avallare i crimini del loro governo. Le università israeliane sono direttamente coinvolte nell’apartheid e nel genocidio del popolo palestinese sia materialmente che ideologicamente: elaborano tecnologie militari e non solo che vengono usate da decenni contro il popolo palestinese e forniscono giustificazioni alle politiche sioniste di oppressione coloniale.
La storia giudicherà
La Palestina costringe a posizionarsi; l’indifferenza con cui ampi settori della società osservano la morte di decine di migliaia di persone è immediatamente una presa di posizione. La difesa degli interessi personali di ordine economico e carrieristico è una presa di posizione. Il discorso sull’intangibilità della cultura, anche davanti al genocidio, è una presa di posizione. L’energia, la determinazione e la costanza con la quale sono state portate avanti le mobilitazioni, in tutta Italia e a Padova, ha fatto parlare il silenzio degli organi accademici, le astensioni, le mancate risposte alle mail che hanno caratterizzato questi mesi. Gli studenti e le studentesse sono qui a ricordare, se non è in grado di farlo la propria coscienza, che non si può far finta di niente, che le alternative sono due: combattere il genocidio e l’occupazione sionista della Palestina o essere collusi.