In occasione del 25 aprile, pubblichiamo la trascrizione di alcuni degli incontri organizzato nel corso dell’anno dall’assemblea permanente per la Palestina del Polo Beato Pellegrino. Il legame tra la festa che celebra la nostra liberazione nazionale dall’oppressione nazifascista e l’odierna lotta del popolo palestinese contro il regime genocida e l’apartheid sioniste ci sembra evidente, così come evidente e perennemente rinnovato, in entrambi i casi, il tentativo di nascondere, minimizzare o colpevolizzare il processo che attraverso la lotta non solo libera un popolo ma lo costituisce come popolo padrone della propria libertà e del proprio futuro. Ne è un esempio il grottesco tentativo, in Italia come altrove, di strumentalizzare la giusta indignazione contro l’antisemitismo per attaccare la resistenza palestinese e chi, nel resto del mondo, la sostiene. È un tentativo che non sortisce effetto su chi fa della sua bandiera quella degli oppressi e ha come obiettivo politico non il ribaltamento del rapporto che a un dato momento si dà tra oppressi e oppressori ma l’annientamento strutturale dell’oppressione stessa e delle sue cause. Quello che la lotta del popolo palestinese continua ad insegnarci non è soltanto che la libertà ha un valore e un costo, ma soprattutto che essa è un patrimonio comune e che comune dev’essere l’impegno per difenderla, che la resistenza non è una ricorrenza da celebrare ma una pratica da intraprendere collettivamente.
Di seguito potete leggere la trascrizione dell’incontro tenutosi il 20 febbraio 2024 nell’atrio del dipartimento di lettere Polo Beato Pellegrino, con ospite Omar Barghouti. La trascrizione e la traduzione dall’inglese sono opera dell’assemblea studentesca permanente per la Palestina del Polo Beato Pellegrino. Buona Lettura!
Omar Barghouti è uno dei fondatori del BDS movement, ovvero il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele. Nel 2017, ha ricevuto il Gandhi Peace Award. Essendo una figura di spicco della Resistenza Palestinese, l’incontro si sarebbe dovuto tenere all’interno di un’aula (se non addirittura quella Magna) dell’Università di Padova. Purtroppo, a causa delle limitazioni imposte dalla nostra stessa Università, il dibattito è avvenuto nei corridoi del Polo Beato Pellegrino.
Let Palestine free you
Il livello di intolleranza all’interno delle Università occidentali negli ultimi anni è cresciuto a dismisura, tanto che, come accade nella nostra università, si arriva a vietare addirittura il dibattito intellettuale. Più in generale, le istituzioni italiane sono complici non solo nella violazione di diritti umani, ma in un vero e proprio genocidio. Emblematico è stato il gesto del governo italiano di tagliare i fondi all’UNRWA, che si occupa di fornire aiuti umanitari a Gaza, dove 2.3 milioni di persone stanno morendo di fame.
Tuttavia, non tutte le persone e gli studenti sono come un gregge di pecore: in questi ultimi tempi abbiamo visto i movimenti a sostegno della Resistenza Palestinese per le strade e nelle accademie, accompagnati da diversi slogan, tra cui spicca Let Palestine free you. Finché la Palestina non sarà libera, non lo saremo nemmeno noi. E questo vale per qualsiasi regime di occupazione, in qualsiasi momento storico.
A proposito, Omar racconta della nascita del movimento anti-Apartheid per il Sud Africa durante gli anni ‘80, nella Columbia University presso cui studiava. Era spesso criticato, e nessuno credeva che il regime dell’l’Apartheid potesse crollare, soprattutto a causa del sostegno delle maggiori potenze occidentali. Eppure ciò è successo. Si tratta di una questione di solidarietà e fratellanza universale: se il Sud Africa si libera, anche io come Palestinese guadagno della libertà.
Dobbiamo unirci perché da soli, di fronte ai Trump, alle Meloni, all’Eni, e alle potenze colonialiste non vinceremo mai. Il messaggio che Omar Barghouti ci ha trasmesso è quello di unire i nostri sforzi e le nostre lotte: la lotta per il cambiamento climatico, il femminismo, Black Lives Matter… sono tutti interconnessi. Attraverso relazioni internazionali con vari movimenti sociali e sindacati in tutto il mondo, il BDS lavora per costruire il potere delle persone dalla base verso l’alto al fine di porre fine all’oppressione e garantire giustizia per i palestinesi.
La teoria del cambiamento del BDS va dalle basi ai vertici, cercando di influenzare la politica concentrandosi sul potere anziché sulla persuasione logica dei politici. L’equilibrio tra etica ed efficacia è cruciale per il movimento: se sei solo etico e non sei strategico, non raggiungi i tuoi obiettivi, diventi un intellettuale, uno di quelli che pensano e pontificano ma non agiscono. D’altra parte, coloro che formulano strategie senza avere alcun principio etico, alla fine si vendono, diventano opportunisti. Abbiamo bisogno di prassi, che significa riflettere e agire e, proprio seguendo questi principi, la nostra tattica ha dimostrato di essere efficace nel costringere grandi aziende a interrompere progetti illegali con Israele, agendo dove fa più male: i profitti. Il BDS non è solo bello moralmente, è efficace, morde. È importante sottolineare però che non mira ai singoli individui e alle loro identità, ma alle istituzioni e alle complicità. Quindi non impediremo, ad esempio, che un’antropologa israeliana possa tenere una conferenza in questa università, piuttosto cercheremo invece di rompere i legami tra l’Università di Padova e quella di Israele. Si accettano tutti rispettando il criterio del buonsenso, cioè che se uno, indipendentemente dalla sua origine, va contro quelli che sono i diritti umani di base, allora non viene invitato.
La lobby israeliana ha un intero dipartimento dedicato al BDS e investe milioni, ci considera una minaccia, e questo per noi significa che siamo efficaci. Le nostre tattiche, infatti, hanno avuto successo con McDonald, ma anche con Sephora, una delle multinazionali che si occupa della gestione della sicurezza di Israele, e Veolia, un’azienda francese che ha perso venti miliardi a causa nostra. Cruciale anche il ruolo delle Chiese, come quella Afro-americana che conta 3 milioni di membri, che hanno deciso di opporsi pubblicamente al governo americano e al suo sostegno ad Israele. C’è anche un gruppo interno al BDS, chiamato BDS48, in cui ci sono militanti in incognito: non vanno in giro con simboli espliciti del movimento, firmano con altri nomi, così da essere più protetti e meno esposti.
Università e attivismo: come creare un movimento accademico a lungo termine
Lavorare insieme tra studenti attivisti e accademici è fondamentale per acquisire potere negli Atenei, garantendo protezione agli studenti, che sono in una posizione inferiore e meno privilegiata, e preservando la memoria istituzionale. Se si vuole portare avanti un progetto a lungo termine all’interno delle università, che duri anche che dopo gli studenti fondatori si siano laureati e se ne siano andati, l’approccio migliore è coinvolgere sia questi ex studenti che accademici che fanno attualmente parte del movimento. Ci può essere anche solo uno scambio sporadico di consigli, ma deve esserci uno scambio continuativo: troppo spesso ci sono esempi di movimenti universitari che hanno raggiunto un grande successo ma che poi, dopo che gli studenti brillanti e fondatori se ne sono andati, sono collassati e i nuovi membri hanno dovuto cominciare da zero.
Quando è ora di decidere da che accordo partire (o più propriamente boicottare), è meglio concentrarsi sul progetto peggiore, soprattutto se riguarda la sfera militare. Qualsiasi relazione con un progetto militare è il bersaglio migliore.
Il cessate il fuoco è l’ultimo dei problemi, anche se è il minimo, se le accademie avessero anche solo un poco di dignità. Le università italiane possono anche non pronunciarsi su questo, l’importante però è che interrompano tutte queste maledette complicità con Israele. Bisogna partire dagli accordi più vicini e facilmente boicottabili: è come un albero coi frutti, si inizia dai più bassi, e poi si arriva sempre più in alto. Si cerca di indebolire il sistema dal basso, per poi arrivare al vertice.
Si può formare una grande coalizione per spingere l’università a adottare politiche etiche sugli appalti, escludendo dalle contrattazioni qualsiasi azienda coinvolta in gravi violazioni dei diritti umani in qualsiasi parte del mondo, senza menzionare specificamente la Palestina, perché può trattarsi anche di un qualsiasi altro Paese oppresso.
È importante, infatti, non considerare sempre la Palestina come il centro dell’universo. Oggi, come sostiene John Dugard, giurista sudafricano, la Palestina è il banco di prova per il diritto internazionale, i diritti umani e la libertà accademica in Occidente così come lo era il Sudafrica. È importante collegare le lotte, perché non si tratta di gareggiare su chi è la vittima peggiore, ma di come possiamo raggiungere la giustizia e sconfiggere l’oppressione insieme. Il movimento universitario può abbracciare anche ulteriori cause: can we get everyone together working on this common goal of no procurement from companies that violate our collective rights?
Interventi
Khaled Al Zeer, presidente della Comunità Palestinese del Veneto
Considerando come l’università di Padova ci ha trattato, relegandoci in un corridoio anziché concederci un’aula per l’incontro, e considerando anche il comportamento del governo, dei media e della televisione italiana, che non hanno avuto il coraggio di schierarsi contro un genocidio, è forse giunto il momento di pensare che anche l’Italia debba fare i conti con sé stessa.
Noi, in quanto popolo palestinese che lotta, versiamo il nostro sangue, ma voi state sacrificando la vostra dignità. È tempo di ribellarvi e liberare questo Paese per garantire la libertà di espressione domani. Dunque, è il momento di riprendervi il vostro Paese, che non vi appartiene più. Né la vostra televisione, né la vostra politica, né il vostro Parlamento.
Viva una Palestina libera, democratica e laica.
Persino il concetto di Apartheid è ormai anacronistico: Israele è passata alla fase successiva, alla pulizia etnica, al genocidio. La fame viene usata come arma da guerra. E l’Italia è complice anche in questo, dal momento che ha sospeso i fondi per l’UNRWA. Il PAM (Programma Alimentare Mondiale) ha sospeso la fornitura di alimentazione alla presidente di Gaza del Nord, “per motivi di sicurezza”, così dicono. Prof.ssa Annalisa Oboe
L’Università di Padova ha 800 anni e il suo motto è Universa Universis Patavina Libertas, cioè che la libertà dell’Università di Padova è una libertà universale, di tutti. Per quasi 800 anni nessuno ci ha mai censurato o ci ha mai detto su cosa ricercare, tranne durante il fascismo, periodo che noi ricordiamo e studiamo tutt’ora. Perciò ringrazio il direttore di dipartimento che ci ha dato la possibilità di fare questo incontro.
Recentemente però, non solo in Italia ma anche in Europa, abbiamo assistito ad una diminuzione della libertà di espressione, e questo è lampante soprattutto ora che si parla di Palestina: il Ministro dell’istruzione britannico ha vietato incontri e dibattiti sul tema, in Norvegia persone sono state licenziate per un post pro-Palestina.
C’è un altro fattore però che è disturbante, il fatto che qualsiasi cosa pro-Palestina venga detta si diventi automaticamente antisemiti. È un’equazione preoccupante: sionismo ed ebraismo sono due cose diverse, non coincidono, ed è importante tener presente la distinzione.
M., studente dell’assemblea: sottolineo come il dipartimento non ci abbia concesso alcuna aula e come noi come studenti abbiamo dovuto prenderci questo spazio nel corridoio del dipartimento senza esplicita autorizzazione
Domande a Omar
Studente 1: Potrebbe elaborare ulteriormente il concetto di boicottaggio nelle università
Studente 2, cittadino Palestinese di Israele. C’è un movimento specifico del BDS sorto dentro Israele a cui possono prendere parte altri cittadini israeliani?
Risposte di Omar
La dichiarazione del BDS del 2005 invita gli israeliani coscienziosi a unirsi a noi in questa lotta per smantellare il sistema di oppressione e ottenere giustizia. Questo appello è stato firmato da tutti, tutte le parti politiche palestinesi, movimenti sociali, praticamente da tutti. Questo significa che i palestinesi nella chiamata al BDS, fin dall’inizio, vedono il potenziale di quella che chiamiamo coesistenza etica, basata sulla co-resistenza all’oppressione. Altrimenti, è una coesistenza non etica. Un oppressore e un oppresso non possono coesistere eticamente se non in una lotta congiunta per porre fine all’oppressione. Quindi fin dall’inizio, la nostra lotta è stata sempre antirazzista, ed è per questo che abbiamo un gruppo BDS all’interno della società israeliana – la società ebraica israeliana – chiamato Boicottaggio da Dentro. Anche negli Stati Uniti abbiamo il sostegno del Jewish voice for peace, movimento completamente antisionista che in questi mesi ha promosso manifestazioni e occupazioni pacifiche.
C’è anche la scrittrice Maya Wind che recentemente ha pubblicato Towers of ivory and steel: è una giovane antropologa israeliana che per anni ha ricercato riguardo le complicità universitarie di Israele, raccogliendo una quantità di materiale scioccante e validissima. Nell’Università di Tel Aviv, insieme all’esercito israeliano e alle aziende militari, Maya ha sviluppato la dottrina chiamata Dottrina Dahiya, o Dottrina della Forza Disproporzionata. Dahiya è il nome del sobborgo meridionale di Beirut, che Israele ha distrutto nel 2006, quasi completamente, per motivi ideologici, basati su una dottrina, una dottrina militare, che dice che un esercito classico come quello di Israele, essendo anche una potenza nucleare, non può sconfiggere facilmente una forza paramilitare di resistenza irregolare come quella libanese. Quindi il modo più efficace per sconfiggere è distruggere vite civili, mezzi di sussistenza civili, infrastrutture civili, rendere così difficile la vita che i civili spingeranno la resistenza a fermarsi. Le potenze coloniali hanno fatto questo da sempre. Ma Israele ha sviluppato tutto ciò in una vera dottrina, una dottrina accademica, all’Università di Tel Aviv. E questa è la dottrina che stanno utilizzando a Gaza e ovunque. Quindi non è una coincidenza che, nel genocidio attuale, abbiano distrutto le università, gli ospedali, le panetterie, i pannelli solari, il sistema idrico, il cibo. Stanno distruggendo la vita affinché Gaza diventi inabitabile per pulirci etnicamente. Gli insediamenti, il muro, le colonie, tutto è sviluppato attraverso ricerca e giustificazione nelle università israeliane. È una psicologia coloniale che usano, sviluppata nelle università.
Non dobbiamo assolutamente ricadere nell’equazione semitismo-sionismo, ma, allo stesso tempo, non dobbiamo nemmeno credere nella Lobby di Netanyahu che fa costantemente riferimento all’antisemitismo. Inoltre, è necessario fare una distinzione anche tra Ebrei e Israele: Israele non equivale agli Ebrei, è un’equazione antisemita perchè non tutti gli Ebrei sono rappresentati da Israele.
In più Israele non appartiene ai suoi cittadini. Appartiene alla nazione ebraica, che comprende qualsiasi persona ebrea a Padova, a New York o a Tel Aviv. Israele appartiene a loro, non ai suoi cittadini, poiché i suoi cittadini includono i cittadini palestinesi, gli indigeni rimasti, che vengono esclusi. Essere cittadini in Israele non ti conferisce pieni diritti, perchè se non sei ebreo, cristiano, musulmano, induista, qualsiasi cosa, non ottieni gli stessi diritti, per legge. È pura discriminazione.
Assurda è anche la Chiesa evangelica sionista negli Stati Uniti: crede che presto arriverà il Messia, Gesù, e che convertirà tutti gli ebrei in cristiani. È uno dei maggiori finanziatori di Israele, vuole che il progetto del Messia si compia il prima possibile, e questo ad Israele sta bene (nonostante la contraddizione lampante) perché almeno danno fondi.