A Giugno dell’anno scorso il Centro di Salute Mentale di Schio è stato chiuso. Avrebbe dovuto riaprire alla fine dell’estate ma, nonostante tre interrogazioni in Consiglio Comunale e una manifestazione che ha portato 4000 persone in piazza, le risposte sono sempre state le stesse. Le soluzioni? Nessuna. Per questo motivo Giovedì 2 luglio c’è stato un sit-in per ribadire che la sanità pubblica deve essere difesa. A qualsiasi costo.
Ne abbiamo parlato con Carlo Cunegato, insegnante di Filosofia e consigliere comunale per Coalizione Civica a Schio.
Che cosa è successo in Veneto negli ultimi trent’anni e come si è arrivati a questo punto?
C: Il quadro generale della sanità veneta è quello di un servizio sanitario che fino agli anni Novanta, inizio anni Duemila, era un’eccellenza e che ad un certo punto ha iniziato a inseguire un disegno, quello lombardo, di progressiva privatizzazione, cadendo sempre più in crisi.
La sanità dell’Alto Vicentino in particolare ha vissuto in maniera potente questo declino. Secondo me ci sono due fasi importanti che hanno determinato questo processo e che non corrispondono alla retorica della classe dirigente leghista che continua a raccontare che tutto ciò che è inefficiente è colpa del governo italiano.
Questa crisi è stata determinata da una serie di scelte tutte venete.
La prima fase, che riguarda l’ospedale di Santorso, ma riguarda anche altri ospedali come ad esempio Mestre o Schiavonia, ha visto la costruzione di ospedali faraonici in project financing durante l’era Galan (ma non dimentichiamo che Zaia, tra il 2005 e il 2009 quando si costruiva l’ospedale, era vicegovernatore). Nell’Alto Vicentino infatti c’erano tre ospedali: Malo, Schio, Thiene. Poi l’ospedale di Malo è stato chiuso. A quel punto rimanevano due ospedali e, al posto di allargare gli esistenti ospedali di Schio e Thiene, è stato deciso di costruirne uno ex-novo, sfruttando la facoltà programmatoria della Regione attraverso un’operazione di ingegneria finanziaria la quale stabilisce che, quando qualcuno presta del denaro per costruire un’opera, ne diventa proprietario.
Nonostante fosse stato dimostrato che allargare l’ospedale di Schio avrebbe fatto risparmiare quasi 90 milioni di euro, sono andati avanti con il progetto. Hanno istituito un comitato, un’azienda fondamentalmente, che si chiama Summania Sanità di proprietà di personaggi noti come Baita della Mantovani oppure il vicentino Meneguzzo della Palladio Finanziaria, entrambi finiti in carcere per il MOSE. Insomma: tutti bravi ragazzi. Il progetto fu affidato allo studio Alfieri il cui proprietario era un deputato della Lega Nord. Al di là di tutti questi personaggi che sono finiti in carcere, qual è il punto? Il punto è che questi personaggi, che hanno prestato 54 milioni contro i 100 milioni della Regione, sono proprietari dell’opera per 24 anni.
Da uno studio sui bilanci emerge che ogni anno l’ospedale paga 5 milioni per l’affitto, e altri 6 milioni per l’affitto delle apparecchiature, la pubblicità, i parcheggi: l’ospedale non è nostro, ma di questa finanziaria privata. Per ricevere 54 milioni si paghiamo 11 milioni di euro all’anno per 24 anni; neanche fossero strozzini o usurai. L’ULSS era in attivo di bilancio e da quel momento ha cominciato ad essere in passivo.
E poi cosa è successo?
C: Poi c’è un altro nodo fondamentale, quello della riforma delle ULSS del 2016. Le ULSS erano 21 e sono diventate 9, con l’Azienda Zero, che è una vera e propria azienda guidata da Mantoan. All’inizio doveva dare solo una centrale unica di acquisto, il che aveva un senso; poi però ha cominciato ad avere anche potere amministrativo e sanitario.
Qui possiamo vedere un’altra contraddizione della Lega e lo dico con una battuta: è sempre autonomista con il potere degli altri. La Lega vorrebbe il potere da Roma ma toglie il potere ai territori. Le province più piccole, attraverso la conferenza dei sindaci, avevano il potere e la capacità di costruire dei servizi che fossero capaci di rispondere a esigenze particolari di un territorio che conoscevano meglio di chiunque altro; adesso invece siamo andati incontro ad un accentramento importante a livello regionale. Tutte le ULSS sono provinciali, ma noi abbiamo subito una sorte diversa perché siamo stati fusi per incorporazione con Bassano, per motivi che non erano assolutamente di tipo amministrativo-sanitario ma politico; perché, a Bassano, la Lega conta molto.
A Febbraio, quindi prima dell’emergenza del Covid-19, si registravano già dei dati allarmanti: vi basti sapere che in Pronto Soccorso c’erano 11 medici su 21, 3 su 6 ad Oncologia, 4 su 8 in Neurologia. Un vero disastro. Ora che al contesto si è aggiunta anche l’emergenza ci troviamo di fronte ad una crisi dei servizi territoriali che sta per esplodere.
E la chiusura del Centro di Salute Mentale ovviamente fa parte di questa crisi.
C: Sì, a giugno dell’anno scorso è stato chiuso il Centro di Salute Mentale. Questa scelta rappresenta un problema perché è un vero e proprio tradimento della legge Basaglia, la più avanzata del mondo all’epoca. L’Italia è stato il primo paese a dare vita a questa rivoluzione culturale, che ha cambiato totalmente il modo di relazionarsi alle persone con problemi psichiatrici, non più pensate come malati inguaribili, ma come persone che hanno diritto a stare bene.
La chiusura del CSM è un elemento piuttosto grave perché rappresentava un «luogo intermedio» in grado di favorire un approccio diverso alla Salute Mentale, un modo diverso di accompagnare il disagio che non si basa più sull’emarginazione dell’incurabile. Il primo atto amministrativo della nuova giunta a giugno dell’anno scorso è stato questo, ed è stato giustificato con il fatto che non c’erano abbastanza medici. Se ne stanno andando in tanti e ovviamente in questo modo i servizi non sono garantiti.
L’ULSS dà la colpa agli errori che ci sono stati a livello di programmazione nazionale. Che errori ci siano stati è innegabile , ma in questo modo i dirigenti locali si auto-assolvono. La vera domanda da porsi sarebbe questa: perché anche i pochi medici che ci sono vanno via? Perché questo territorio non è più capace di essere attrattivo? I medici preferiscono andare nel privato e molti bandi pubblici vanno deserti. A volte ci si dimentica che riaprire il CSM significherebbe anche assumere assistenti sociali, psicologi… Tuttavia, se non ci sarà un investimento poderoso, sarà impossibile ripartire.
Nonostante tre interrogazioni in Consiglio Comunale e la promessa di riaprire alla fine dell’estate (scorsa) non ci sono state ancora date risposte soddisfacenti. L’ultima interrogazione è stata avanzata il mese scorso e ci è stato risposto nuovamente che il problema è la mancanza di medici. Per questo motivo abbiamo deciso di fare un sit-in con il Comitato Sanità Pubblica Alto Vicentino che è stato fondato a novembre. A novembre, infatti, abbiamo organizzato una manifestazione inclusiva in difesa della Sanità Pubblica che ha coinvolto più di cento associazioni, partiti ed enti e ha portato in piazza 4000 persone. E’ stata la più importante manifestazione degli ultimi trent’anni per l’Alto Vicentino. Giovedì 2 luglio siamo tornati in piazza per chiedere di nuovo la riapertura del CSM. Con la speranza di avere delle risposte.