di Filippo Grendene
Sabato 24 marzo, davanti al comune di Padova, si è svolta una manifestazione dei comitati degli inquilini delle case Ater della città, cui si è unito anche il comitato di Abano.
Da due anni i comitati organizzano presidi e manifestazioni per rivendicare alcuni semplici diritti: il diritto a delle case salubri in cui vivere, il diritto a un affitto che sia possibile pagare con i propri stipendi, il diritto ad essere ascoltati dall’ente che gestisce le case popolari e dal suo garante, il Comune. Le rivendicazioni dei comitati si sono concentrate, in particolare nel corso dello scorso anno, sulle spese condominiali inesigibili che amministratori condominiali ed Ater hanno fatto e fanno pagare in alcuni dei blocchi di case popolari. La malagestione delle risorse disponibili, unita alla vetustà degli impianti, all’errore di progettazione, portano le spese condominiali a cifre da capogiro, addirittura 600€ al mese (tralasciando tutta la questione legata alle speculazioni sulle risorse energetiche). Tali spese sono ancora più impressionanti, se paragonate agli affitti pagati dagli inquilini delle case Ater, indicizzati all’ISEE, di 80-100-200 euro al mese.
A partire da questo autunno, però, in seguito alla legge regionale 39/2017, Ater ha inviato la notifica del rinnovo dei contratti. Prima della nuova legge regionale sull’Erp (edilizia residenziale pubblica), i contratti erano a tempo indeterminato: non si dava dunque la possibilità di scioglierli, ma semplicemente di chiuderli nel caso in cui l’ISEE delle famiglie risultasse superiore alla soglia massima. Adesso, con la nuova legge le cose sono cambiate: ogni cinque anni i contratti non verranno rinnovati se persistono sforamenti del tetto dettato dai criteri ISEE e se sussiste una morosità pari o superiore a tre mensilità, dell’affitto e delle condominiali.
Il senso comune ci suggerisce che questo criterio sia giusto: se l’affittuario non paga il canone concordato, se non paga le spese che tutti devono pagare, deve lasciare la casa. La questione, però, va analizzata nel suo complesso. Ater, che è l’inter-gestore delle case popolari in provincia di Padova, come nelle altre province del Veneto, dovrebbe avere come fine statutario quello di tutelare il diritto all’abitare. Tutelare il diritto dell’abitare significa, nei fatti, rendere possibile ai condomini di abitare una casa con pigioni commisurate alle loro possibilità . Cosa succede? Ater non fa quello che deve fare: non fa le ristrutturazioni, non vigila sull’esecuzione dei lavori, lascia sfitti interi appartamenti – i costi comuni vengono quindi distribuiti su meno famiglie, in alcuni casi la metà della normale capienza di un palazzo. Le spese condominiali non sono commisurate all’ISEE, ma sono legate al costo delle materie prime e degli amministratori, ai lavori fatti o non fatti, ai difetti di progettazione, e salgono fino a diventare insostenibili per gli inquilini, indipendentemente da loro. Poi, alla scadenza dei contratti, si comunica agli stessi, morosi incolpevoli, che non hanno potuto pagare queste condominiali, che se ne devono andare. In questi ultimi mesi sono arrivate le prime comunicazioni che avvertono di questo cambio di marcia, fissando definitivamente il termine a giugno. Queste lettere, per Ater, sono il semplice risultato dell’applicazione della legge e lo stesso presidente promette che le proveranno tutte prima di lasciare la gente per strada. Ma cosa significa provarle tutte, se da anni non è stato fatto realmente niente per ovviare al problema? Se è l’ente stesso che ha il compito di far partire questi sfratti?
Il garante del diritto d’abitare in una città è il sindaco; tra le tante case gestite da Ater, molte sono di proprietà del comune. Il sindaco di Padova, assieme all’amministrazione, ha delle colpe in questa storia: da due anni si denuncia l’esistenza di spese condominiali insostenibili che gravano in capo a centinaia di famiglie e che delineano un problema politico e di diritti di base. Un problema, cioè, che va affrontato complessivamente. La scelta, consapevole, dell’amministrazione comunale, è stata quella, invece, di trattarlo come un problema singolo di povertà. Si è scelto, dunque, di indirizzare ai servizi sociali coloro che non riuscivano a pagare le spese condominiali. È stato poi stanziato un milione di euro che, nella misura di circa un terzo, è stato utilizzato per coprire tali morosità, soprattutto quelle sulle condominiali. Si sono intercettati alcuni casi, ma adesso i nodi vengono al pettine: non avendo affrontato la questione complessivamente, adesso affiora all’orizzonte un’ondata di, forse, centinaia di sfatti.
Affrontare come problema individuale, di povertà e indigenza, un problema politico che coinvolge centinaia di famiglie non paga. Quanto meno, non paga in termini di garanzia sui diritti basilari, come quello al tetto sopra la testa. Da parte sua Ater, come al suo solito, si comporta come soggetto privatistico, quale d’altra parte è, allargando le mani davanti ai problemi sociali che le sue scelte comportano, come se avvenissero indipendentemente dal suo operato.