L’anno è iniziato da pochi giorni e in Italia abbiamo già dovuto assistere al primo femminicidio. Non torneremo su questo tema, su questa serie sempre più lunga di omicidi che dai collettivi femministi viene ormai definita una vera e propria mattanza. Per restare nell’ambito del cinema rimandiamo però all’ottimo documentario di Yuri Ancarani Il popolo delle Donne in cui la psichiatra e attivista politica Marina Valcarenghi con ironia, lucidità e intelligentissima rabbia ci mette di fronte al fatto che le donne, tra le altre cose, non debbano più demandare ad un’astratta legge di proteggerle, alle forze dell’ordine o a fratelli, amici, alleati di difenderle, ma che il primo punto dal quale si debba partire è la presa in carico autonoma e individuale della propria sicurezza, il rifiuto e la graduale uscita da una condizione di minorità in cui sono state e ci siamo relegate.
Gli strumenti per essere protette esistono.
Ma è evidente che non bastino e non basteranno finché le stesse vittime di violenza non saranno in grado di essere consapevoli della propria condizione e abbastanza indipendenti per volerla e poterla modificare. Non si tratta di victim blaming ma di rendersi conto che finché il problema della violenza di genere sarà pensato come esterno al modo stesso in cui le donne si percepiscono e agiscono, le donne continueranno a morire. Che questo modo dipenda dalle condizioni materiali dell’esistente e non da un’essenzialistica debolezza del genere al quale appartengo rappresenta un ulteriore punto a favore della lotta alla trasformazione di queste condizioni.
In questo giorno in cui riceveremo molti messaggi che ci daranno delle befane, in cui abbozzeremo e faremo finta di trovare divertenti alcune trite battute, più stupide che sessiste, vorrei tornare invece a parlare di alcuni film – soprattutto del più recente vincitore a Cannes – che hanno rovesciato la prospettiva e hanno raccontato le assassine di sesso femminile. Una percentuale in Italia inferiore al 3,5 per cento del totale degli autori di omicidi familiari o cosiddetti passionali, ma che, ad esempio nel cinema di genere ha condotto ad una vera e propria tendenza in ambito horror e thriller, le Wives with Knives, titolo, a sua volta, di una serie TV statunitense del 2012 in cui varie donne raccontano come hanno accoltellato i loro amanti e mariti.
Non tutte le vedove, o meglio, le vedove accusate di aver autonomamente causato la propria condizione di vedove, sono conturbanti e tenebrose come Alida Valli ne Il Caso Paradine di Alfred Hitchcock.
Altre sono ingiustamente incarcerate, come la moglie fedifraga e insoddisfatta di Film Bianco di Kieślowski, altre ancora sono luciferine e disposte a tutto come Jean Simmons in Seduzione Mortale di Otto Preminger.
Altre, le più recenti, sono glaciali e scostanti come Sandra Voyter, magistralmente interpretata da Sandra Hüller in Anatomia di una caduta di Justine Triet. Eppure, attraverso tutte queste differenti rappresentazioni è possibile individuare un fil rouge. Tutte queste donne sono seduttive nei confronti del maschile. Corteggiano e ingannano i propri avvocati, tradiscono non sempre impunemente i loro mariti, hanno una componente platealmente doppia, ambigua, bifronte.
Il film Anatomia di una Caduta, Palma d’Oro nel 2023, racconta la storia di una scrittrice di fama internazionale il cui marito, insegnante e padre frustrato, scrittore mancato, trova la morte in una caduta che potrebbe non essere tale, mentre sono soli in casa. Il figlio cieco rientrerà da una passeggiata troppo tardi per essere un testimone attendibile. La regista segue il processo, il maschilismo aggressivo dell’avvocato dell’accusa che la vuole colpevole, le perizie gemelle che affermano la verità di un fatto e il suo contrario, l’ambiguità e la violenza della scrittrice, figura forte e di successo della coppia, su cui si addensano sempre più ombre di colpevolezza.
La pellicola, incensata come opera femminista e militante, è in realtà un film interessante proprio per il suo non essere tale.
Infatti, a parte poche battute dell’avvocato della difesa sul fatto che il processo non sarà incentrato su come Sandra Voyter è ma su come Sandra Voyter appare, ovvero come la perfetta Wife with Knife, tutto in questo film si gioca sull’indecidibilità del torto e della ragione: non ci sono donne immacolate, né vendicative, non ci sono uomini violenti, né senza macchia, ma solo un uomo e una donna che si sono amati, odiati e infine, per la scelta di uno dei due, definitivamente separati al di là di ogni possibile contatto.
Se fosse stato un film più effimero, a tesi, come La scelta di Anne, quota rosa della Mostra del Cinema di Venezia 2021, non avrebbe avuto la stessa forza, dovuta certamente e soprattutto all’interpretazione di Hüller, ma anche al suo essere giocato tutto nel mondo della verità e della menzogna, della verità come scelta di campo e narrazione, come frutto di una storia e non di un calcolo matematico o di un’autopsia.
Sicuramente ci sono alcuni elementi che richiamano la rinnovata querelle des sexes, gli uomini che non accettano la trasformazione del rapporto tra i generi e reagiscono – in questo specifico caso raccontato dal film – con un senso ricattatorio di debolezza, parte di una più ampia crisi del maschio. Tuttavia, sarà l’innocenza del bambino cieco, la storia nella storia da lui raccontata al processo finale, a decidere le sorti della madre, molto più dei suoi pluripremiati e strutturati romanzi di autofiction.
Nel mondo reale, purtroppo, le cose sono molto più semplici.
La violenza delle donne sugli uomini viene chiamata in causa solo in relazione alla violenza degli uomini sulle donne per ridimensionarne la portata.
La strategia retorica legata al maschicidio, all’annosa questione della “Giornata degli uomini” in contrapposizione all’8 marzo, è facilmente sgretolata dai dati. In termini di valori assoluti, il numero di uomini uccisi da donne è calato nel tempo e stando ai numeri, il cambiamento più significativo che si è registrato dagli anni ’90 ad oggi è stato il calo di omicidi tra uomini. Anche le donne uccise da uomini sono diminuite in termini assoluti, ma essendo stata la flessione molto minore, il peso percentuale di questo tipo di omicidi è aumentato.
Il termine (femicide) è stato diffuso per la prima volta da Diana Russell che, nel 1992, nel libro Femicide: The Politics of woman killing, attraverso l’utilizzo di questa nuova categoria criminologica, molto tempo prima di avere a disposizione le indagini statistiche che ci confermano ancora oggi questo dato, “nomina” la causa principale degli omicidi nei confronti delle donne: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna “perché donna”. «Il concetto di femmicidio si estende al di là della definizione giuridica di assassinio ed include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine».
In Italia purtroppo siamo lontani dall’avere una fotografia della realtà. Non abbiamo dati disaggregati per genere né delle vittime né dei perpetratori dei reati collegati alla violenza sulle donne. Non abbiamo un’idea del variare nel tempo del fenomeno, visto che le ultime rilevazioni statistiche nazionali reperibili online sono quelle dell’Istat del 2014 che registravano, nel confronto con i cinque anni precedenti al 2006, segnali di miglioramento: erano diminuite la violenza fisica e sessuale da parte dei partner attuali e da parte degli ex partner, e in calo anche la violenza sessuale (in particolare le molestie sessuali, dal 6,5% al 4,3%), perpetrata da uomini diversi dai partner. Non si intaccava però lo zoccolo duro della violenza nelle sue forme più gravi (stupri e tentati stupri) come pure le violenze fisiche da parte dei non partner mentre aumentava la gravità delle violenze subite.
I dati più recenti riguardano gli omicidi. Nel nostro paese nel 2022 si sono verificati 322 omicidi (+6,2% rispetto al 2021): 126 donne e 196 uomini. Cresce il numero di uomini uccisi da sconosciuti (0,37 per 100mila maschi; 0,27 nel 2021) e di donne uccise da parenti (0,14 per 100mila donne, 0,10 nel 2021).
Nei casi in cui si è scoperto l’autore, il 92,7% delle donne è vittima di un uomo, mentre nel caso la vittima sia un uomo nel 94,4% dei casi l’omicida è un uomo.
Ovviamente non auspichiamo l’aumento di donne maschicide, ma avvalliamo in toto l’operazione narrativa di Sandra Newman che nel suo libro, Gli uomini, ne ha immaginato la scomparsa dal mondo. Anche solo come temporaneo e insufficiente esercizio di immaginazione, è interessante concepire una realtà, non priva di storture ma risanata dalle sue cicatrici patriarcali.
Buona Befana, a tutte le befane e i befani.