di Stefania Giroletti e Filippo Grendene
Nelle ultime settimane sui media italiani si è fatta spazio, con la forza dell’oggettività, l’emergenza casa. Nelle città non si trovano abitazioni, i prezzi sono troppo alti, studenti e lavoratori sono espulsi dai quartieri e obbligati a lunghi pendolarismi. Fra le altre, due città venete spiccano in questo panorama: Padova (abbiamo provato ad affrontare in questi articoli il discorso) e Venezia. Nel capoluogo regionale, in particolare, le dinamiche speculative legate al turismo fanno parte di mezzo secolo di storia urbanistica: non sorprende che proprio da qui nasca il percorso di ATA, Alta Tensione Abitativa, promosso inizialmente da una serie di soggetti che in vari modi operano sul territorio al di fuori delle dinamiche istituzionali.
Dalla condivisione alle piattaforme: il problema
Le forme del viaggiare negli ultimi decenni si sono modificate radicalmente: l’internet prima maniera ha dato origine a piattaforme come Couchsurfing, che permettevano di condividere il proprio divano e un pezzettino della propria vita con chi viaggiava, da un lato; dall’altro, di vivere le città da un punto di vista meno tradizionale. Sappiamo tutti come il viaggio in una città dove un amico ci guida e ci ospita rappresenti un’esperienza diversa dall’affidarsi a un tour operator.
Nel giro di pochi anni il mercato, partendo da questa idea, ha realizzato soluzioni in grado di mettere a profitto la possibilità di condividere una parte della propria casa, o l’intera abitazione nei periodi di assenza, garantendo un reddito integrativo. AirBnB nasce così, all’interno di un concetto di sharing economy che, però, in breve tempo si fa residuale. Le potenzialità di disintermediazione, di eliminare gli intermediari, assieme alla mancanza di una legislazione ad hoc, rendono il mercato degli affitti brevi un affare estremamente redditizio. Bastano i numeri: prima della pandemia gli alloggi disponibili sulla piattaforma erano oltre 620.000, per ricavi superiori ai 3 miliardi. Il problema è particolarmente sentito nei Comuni ad alta tensione abitativa (riconosciuti con delibera CIPE 87/2003).
I margini di guadagno di attività sottoposte a tassazioni non commerciali sono amplissimi, e hanno come conseguenza la progressiva conversione di alloggi per residenti in alloggi per affitti brevi: si incide sulle possibilità stesse, per la popolazione, di vivere le proprie città. Non solo a Venezia, Firenze e Roma, ma anche a Padova, Milano e Bologna e molte altre città italiane le conseguenze macroscopiche sul mercato degli affitti, in assenza di interventi calmieranti, sono drammatiche: non si trova più casa, non si arriva a pagare l’affitto.
Passo numero uno: l’intervento sulla città di Venezia
Per capire che cosa stia succedendo abbiamo parlato con Mattia Favaretto, di ATA – Alta Tensione Abitativa: uno dei soggetti promotori dell’iniziativa. Scopriamo che si arriva a una proposta di legge dopo un percorso lungo e interessante, basato su forme partecipative dal basso: «Nel novembre 2021 c’è questo incontro proposto da Andrea Segre, da subito volto pubblico della campagna, che contatta Ocio e altre realtà del territorio per discutere assieme su come sviluppare iniziative che possano sensibilizzare e avere impatto, anche istituzionale, sul territorio. L’obiettivo è quello di far fronte al problema della turistificazione. Si arriva a una prima proposta di legge, meno sistematica dell’attuale, per limitare la diffusione e la concentrazione delle locazioni turistiche in città storica; la proposta attuale invece lascia autonomia all’amministrazione comunale di decidere quali zone siano maggiormente a rischio sulla base di una serie di criteri di valutazione.
Ci sono stati due incontri molto partecipati, una al teatro Goldoni e una al Toniolo, a Mestre, in occasione della presentazione di Welcome Venice di Andrea Segre. Il percorso continua finché, nell’estate 2002, l’allora deputato Pellicani, già autore di una legge per la regolamentazione, fa approvare un emendamento al DL 50/2022 provocando un’accelerazione, anche se limitatamente al territorio di Venezia. Da quel momento il Comune della città lagunare ha la possibilità, sancita da una legge nazionale, di intervenire sulle locazioni brevi sul territorio redigendo un regolamento – di cui non si ha però ancora notizia».
La stesura e l’applicazione di tale regolamento consentirebbe al Comune di Venezia di stabilire i limiti massimi e i presupposti per la destinazione degli immobili residenziali ad attività di locazione breve, di porre un tetto di 120 giorni annui a questa destinazione d’uso, di stabilire dei criteri di turnazione.
Passo numero due: la legge nazionale
Continua Favaretto: «La proposta di una legge nazionale nasce, pur nel riconoscimento della validità del percorso che ha portato all’emendamento Pellicani, da un’insoddisfazione, anche rispetto a come è stata attuata in Parlamento. Infatti, anche la prima proposta nasce fin da subito come legge nazionale, però l’emendamento Pellicani porta a un’applicazione locale: pensando a Venezia come caso studio, emblematico o eccezionale si dimostra che una regolamentazione è possibile, ma la si circoscrive geograficamente. In ogni caso, attraverso l’attuazione dell’emendamento a Venezia si capisce che, se non saranno modificati molti aspetti rilevanti a livello nazionale si creeranno contraddizioni normative, alle volte anche con la legislazione regionale. È quindi necessaria una legge che definisca nei suoi aspetti la locazione breve».
Abbiamo discusso con Mattia la proposta di legge avanzata da ATA; all’interno del quadro italiano porta avanti delle posizioni forti, alla base delle quali sta l’interpretazione dell’affitto breve come attività di integrazione al reddito e non come lavoro. Partendo infatti dall’idea originaria di una sharing economy, si pensa alla possibilità di affittare la propria casa senza dover richiedere autorizzazioni per un periodo di massimo 90 giorni l’anno; al di fuori di questi, di istituire il principio per cui un proprietario = un’autorizzazione, per evitare aggregati speculativi; si valuta di fornire ai comuni la possibilità di introdurre limitazioni, individuando dei criteri per l’assegnazione delle autorizzazioni.
Si tratta di criteri propriamente urbanistici, attraverso zonizzazioni (analisi su singoli segmenti della città) e studi sull’impatto di Airbnb e simili su affitti e residenzialità. Il ragionamento parte dal conflitto, oggettivamente in atto, fra due diverse libertà: quella di esercitare attività di impresa attraverso la locazione breve e quella di vivere nella propria città. La proposta di legge ATA prevede una regolamentazione limitativa dell’attuale diritto di impresa in questo campo, riconoscendo prioritario il diritto di molti abitanti contro quello di pochi speculatori, grandi e piccoli. Sarebbe applicata ai Comuni ad Alta Tensione Abitativa e a tutti i capoluoghi di provincia.
È possibile arrivare a un’attuazione? «Inizialmente avevamo pensato a tre vie, ciascuna con i suoi pro e contro: 1) la via interregionale (coinvolgere 4 regioni ad appoggiare la proposta di legge) 2) la proposta di legge di iniziativa popolare, con raccolta firme 3) la proposta di legge portata da gruppi parlamentari. Ultimamente, però, le cose hanno subito un’accelerazione».
Gli ultimi sviluppi: la Santanché si mette in mezzo
Negli ultimi due mesi la proposta di ATA ha fatto un salto. La data centrale, che segna un’accelerazione, è il 18 maggio 2023: a Venezia il percorso di ATA, Alta Tensione Abitativa, promuove una giornata di discussione sull’impatto degli affitti brevi sulla residenzialità delle città italiane. Partecipano al convegno Invertire la tendenza decine di rappresentanti di istituzioni, movimenti e associazioni che, senza demonizzare gli indotti turistici, premono per una regolamentazione del mercato degli affitti brevi, sostanzialmente assente in Italia.
Chiude la giornata Andrea Segre: «C’è un nemico ancora più ampio: il senso comune rispetto a questo tema. Il senso comune che si è costruito in 30 o 40 anni, in cui è stato detto che l’economia turistica era l’economia con cui far ripartire il paese in una dimensione più pulita, per rivalutare le nostre bellezze e i nostri centri storici, i nostri patrimoni culturali e per superare l’economia pesante dell’industrializzazione. […] Allora dobbiamo trovare anche un modo per provare non soltanto ad organizzarci tutti assieme, […] per provare ad affrontare chi cercherà di contrastare questa proposta; ma soprattutto provare ad organizzare iniziative, direzioni per provare a cambiare questo senso comune».
Seguono un forum sull’abitare a Milano e uno a Bologna, nei quali intervengono diverse amministrazioni comunali, tendenzialmente di un centrosinistra che in questa fase tende a farsi interprete della proposta (nonostante negli ultimi decenni si sia distinto, su questo piano, come campione della deregulation e dell’ingresso del privato – vedi l’asse fiorentino Renzi-Nardella).
Sembra verosimile che si possa procedere lungo questo itinerario finché, a inizio maggio 2023, la ministra al turismo (Daniela Santanché!) convoca una riunione con l’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani – presente Antonio Decaro) e il Coordinamento delle Città Metropolitane (coordinatore Nardella), «durante la quale si è discusso della necessità di giungere ad una proposta di legge che disciplini gli aspetti normativi delle locazioni brevi. Nel comunicato diffuso al termine dell’incontro si legge come la volontà del Ministro sia quella di arrivare entro fine maggio ad una proposta condivisa da tutti i livelli» (dal Comunicato stampa di ATA del 4 maggio 2023).
In pratica, il governo richiede una proposta che rischia di tagliare fuori associazioni e comitati, oltre che di depotenziare i contenuti della legge, e che evidentemente non arriverà a Roma con la radicalità elaborata a Venezia. Il 4 maggio c’è stata una mobilitazione di ATA in 10 città italiane per difendere il testo della legge proposta, la partita si gioca nei prossimi mesi.