Un confronto con il comitato ViviAmo Marghera
di Stefania Giroletti
In un bar di via Piave, a Mestre, abbiamo incontrato Valentina del comitato ViviAmo Marghera. Il posto ce l’ha suggerito lei ed è stato scelto in quanto emblematico – come l’intero viale fiancheggiato dai giardinetti pubblici e da una schiera di ex case dei ferrovieri – della “questione” che da mesi scuote l’opinione pubblica dell’entroterra veneziano: la droga. Le aree limitrofe al sottopasso (il “sottopasso della paura”, secondo alcuni titoli di giornale) che congiunge Mestre a Marghera sono risaputamente area di spaccio e consumo. Via Piave è stata definita un caso nazionale: il “quartiere della vergogna”.
«I giornali contribuiscono all’allarmismo, denunciano il degrado e invocano il decoro», afferma Valentina. Degrado e decoro sono il triste lessico famigliare che caratterizza il discorso sociale al giorno d’oggi. I due termini vanno a costituire i poli di una società irrimediabilmente divisa fra una parte sana e una tossica in radicale contrapposizione. Il decoro si ottiene ripulendosi dalle scorie degradanti. E come? A suon di repressione.
È proprio contro questa risposta, e più in generale contro una concezione della realtà così falsamente dicotomica, che si pone il comitato ViviAmo Marghera, dando vita a un esperimento sociale inedito: una piccola inchiesta tra i consumatori di droghe.
ViviAmo Marghera è un comitato che nasce dal basso per esercitare una forma di “controllo popolare” sulla città e per diffondere narrazioni alternative della realtà. Il gruppo, racconta Valentina, prende piede tre anni fa per contrastare il progetto di riqualificazione urbana in via Ulloa a Marghera. Attraverso lo strumento del questionario, il nascente comitato raccoglie un’idea di quartiere e di sicurezza alternative a quelle proposte dalla giunta: meno grandi opere, meno sensazionalismo, meno speculazione e più riuso del patrimonio immobiliare esistente e partecipazione democratica.
La stessa lente adottata nei confronti dell’urbanistica il comitato la rivolge ora al tema sociale del consumo di droga. Il comitato ha prima di tutto organizzato dei momenti di formazione volti a costruire una narrazione alternativa attorno alla figura del consumatore: «siamo consapevoli che sul tema della droga esistono molte barriere, paure anche legittime e pregiudizi. Per affrontare la questione in maniera alternativa, è necessario imparare a guardare il consumatore con un altro sguardo, ridandogli in primo luogo la parola». A questi incontri è stato invitato, fra gli altri, Alessio Guidotti, fondatore di Itanpud, un’associazione di promozione sociale che tutela i diritti delle persone che usano droghe e propone un loro coinvolgimento attivo nella costruzione delle politiche e dei servizi che li riguardano. «Ridare voce ai consumatori serve a ridurre la distanza fra loro e gli altri, sia agli occhi della cittadinanza che a livello di autopercezione. Lo stigma e l’auto-stigma favoriscono la segregazione e incentivano il consumo stesso», sostiene Valentina.
«A questo punto eravamo pronti a scendere in campo. Come prima mossa siamo andati al SerD, in fila con chi aspettava la terapia. Ci siamo finti consumatori e abbiamo iniziato a fare domande attorno. Abbiamo usato questa strategia per vincere la normale diffidenza di chi, solitamente, non viene avvicinato per quattro chiacchiere. Umanamente è stata un’esperienza forte, ti posso girare alcuni frammenti di conversazione». Ad esempio la voce di Pietro: «Sono un “vecchio” consumatore. Faccio uso da quasi quarant’anni, per cui ho anche visto questo mondo cambiare e diventare diverso da quando ho iniziato non giovanissimo, mentre le proposte per il recupero sono sempre le solite»; oppure quello di una donna dal caschetto biondo in fila per il metadone: «Se le droghe potessero essere controllate come il gelato non ci sarebbero morti. Quando acquisti un gelato, sai chi lo ha prodotto e quali ingredienti ci siano contenuti. Con le droghe no. Quando inizi ad avere una dipendenza non sei trattato come una persona dipendente da zuccheri ma come un criminale. Ciò che importa è non creare danni agli altri ma tu i danni li crei anche non volendo perché non ti danno alcuna alternativa»; o come quella di Giovanni: «penso che la terapia possa fare fino ad un certo punto. Sono deluso. Se dopo il carcere, dopo un periodo di comunità una persona che consuma non ha una speranza di futuro, torna a fare quello che esattamente faceva prima».
«A partire da questa esperienza abbiamo impostato il questionario, mettendo al centro l’identificazione dei bisogni e delle necessità dei consumatori in una prospettiva di riduzione del danno» continua Valentina. «Abbiamo anche proposto, parallelamente, un questionario ai residenti delle zone “calde” dello spaccio, anche per proporre approcci alternativi a quelli portati avanti dalla destra. Impostando le domande in maniera intelligente, è possibile non far leva solo sui pregiudizi e le paure delle persone, aprendo spazio a un ragionamento di tipo differente. Certo la strada è lunga, ma esistono alternative alla repressione e all’assistenzialismo, che fino ad ora hanno fallito».
Il comitato ViviAmo Marghera invita a distinguere, in termini di droghe, l’uso dall’abuso, insistendo sulla possibilità di un uso autoregolato. Dal questionario rivolto ai consumatori, si evince che un obiettivo del genere possa essere perseguito tentando politiche sociali innovative. Fra queste si sottolineano tre possibili punti: la realizzazione di stanze del consumo, ossia di luoghi chiusi con presenza di materiale sterile per poter far uso di droga in sicurezza e lontano dalla strada (è in particolare il campione femminile a richiederne la presenza, per sentirsi maggiormente tutelato); la possibilità di lavorare a cottimo presso cooperative con retribuzione giornaliera, per avere dei soldi in mano, evitando micro-criminalità o forme di prostituzione per procurarsi la dose; l’ampliamento dei servizi dei dormitori, di modo che non siano solo dei posti letto, ma luoghi in cui si possa passare la giornata, con servizi garantiti, come la presenza di uno psicologo e di altri “attivatori”, ossia personale competente per “riattivare” la persona, dandole fiducia e puntando sulle sue capacità. (Chi fosse interessato ad approfondire i risultati dell’inchiesta, può trovare qui sotto lo studio di rielaborazione dati e analisi a cura di Sonia Bergamo).
Sono soluzioni che possono suscitare qualche perplessità, in particolare se si continua a pensare alle droghe come a un fenomeno da combattere e estinguere in maniera immediata. L’abuso di sostanze rappresenta sicuramente un problema sociale, ma se lo si vuole affrontare nella concretezza è inutile aspettarsi che possa scomparire da un giorno all’altro. Secondo la prospettiva del comitato ViviAmo Marghera, meglio essere pragmatici e cercare soluzioni che mettano in sicurezza tanto i consumatori quanto i cittadini. Ciascuna delle tre proposte principali emerse dal questionario ha l’obiettivo di riconoscere dignità al consumatore, tutelando la sua persona e il suo diritto al consumo. L’obiettivo finale è che, attraverso le politiche sociali adeguate, tale consumo non sia autodistruttivo e magari possa addirittura ridursi, in un contesto di benessere generale. «Avere una prospettiva e continuare a sentirsi una persona sono elementi fondamentali per combattere l’abuso di sostanze».
Il prossimo passo del comitato, in linea con il percorso fino ad ora intrapreso, è una petizione – attualmente in corso – per richiedere una Casa di accoglienza comunale e un progetto di reinserimento sociale e lavorativo per i consumatori di sostanze stupefacenti. «Un’accoglienza diurna e notturna che possa offrire agli ospiti non solo servizi come docce, lavanderia, deposito bagagli, guardaroba; servizio mensa serale, biblioteca con postazioni pc e wifi; sale soggiorno miste con televisore; presidio infermieristico ma anche servizi socio-educativi, finalizzati a potenziare l’autonomia individuale di quanti si rivolgono alla struttura durante la loro permanenza».
«È ora di rovesciare il concetto di sicurezza, mettendo le politiche sociali al vertice di una società e di una città veramente decorosa. Decorosa in quanto non tratta nessuno come rifiuto o scarto».
Salutiamo Valentina con mille riflessioni e domande su un tema tanto complesso, la ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato e ce ne torniamo a Padova convinti che, se non esistono soluzioni, vanno comunque fatti dei tentativi. Tanto più se a spingere in questa direzione sono realtà che nascono dal basso e che si organizzano per cambiare la società, partendo dal proprio angolo di terra.