All’angolo tra via Spagna e via Zanon, nella zona industriale di Peraga di Vigonza, comune di circa ventitremila abitanti a nord-est di Padova, si estende un capannone di 7.400 mq. Qualche centinaio di metri dopo, proseguendo lungo via Spagna, si incontrano le sedi di ABS FOOD, MedicAir, Interchem, Light Engineering – alcune aziende produttrici di dispositivi per servizi ospedalieri e home care, detergenti e sistemi per la pulizia professionale, sistemi di illuminazione LED, prodotti alimentari. Di fronte, sul lato opposto della strada, lo scheletro di un altro capannone, uno di quelli sospesi che sembrano essere in costruzione e, contemporaneamente, inconclusi e abbandonati. Appeso alla recinzione che lo circonda, uno striscione bianco con la scritta in rosso “(Algo)ritmi insostenibili” saluta i primi furgoni della lunga fila che inizia in via Zanon e termina in via Spagna, proprio davanti all’enorme capannone. Si tratta del magazzino DVN1, primo insediamento logistico last mile deliveries di Amazon in Veneto, costruito nel 2017 dalla società Direzionale Vigonza dell’ingegnere Luigi Endrizzi. I furgoni che vorrebbero entrare per iniziare il turno di lavoro, invece, sono quelli dei driver interinali, assunti con contratti di somministrazione di lavoro, che non sanno quando né se verranno rinnovati, e che hanno deciso di non prendere parte allo sciopero di 48 ore proclamato dalla FILT CGIL e UILTRASPORTI nei giorni di giovedì 30 settembre e venerdì 1 ottobre – e che, come ci dice Massimo Cognolato, segretario generale della FILT-CGIL di Padova, potrebbe continuare mercoledì, giovedì e venerdì prossimi per altre 72 ore dopo la pausa del fine settimana.
Dopo aver lasciato la macchina lungo via Zanon, ci avviciniamo a un capannello di ragazzi con la pettorina azzurra vicino a uno dei furgoni in fila. Uno dei tre ci dice che lavorano lì da poco, che il contratto sta per scadere e sperano che, con il Natale che si avvicina, venga loro rinnovato. Non possono permettersi di scioperare: il rischio di finire attenzionati e poi sospesi è troppo alto. Ma non hanno voglia nemmeno di farsi intervistare perché non sono direttamente “coinvolti”, loro lavorano per una delle sei aziende con cui Amazon organizza le rotte di consegna al dettaglio, ma al momento la loro azienda è salva. Avvicinandoci ai cancelli contiamo circa una sessantina di persone e due driver ci confermano che le adesioni allo sciopero sono state alte, oltre il 50 per cento. C’è fibrillazione nell’aria, appena arriviamo ai cancelli tutti si accorgono di noi e c’è subito voglia di coinvolgerci, di raccontarsi. In questa atmosfera di scambio e solidarietà, entra in scena l’ironia ed anche la gioia che gli scioperi portano con sé, le conversazioni son fatte di una battuta dietro l’altra, le risate tra colleghi fanno il paio allo sguardo complice dell’autista del primo furgone che si stanzia granitico all’ingresso, lui che blocca la lunga fila alle sue spalle. Mezz’ora a motori spenti e poi il testimone passa a quello dietro: ed è avanti così che Amazon in 48 ore di blocchi perde milioni di euro.
I lavoratori e le lavoratrici che stanno lottando vogliono esporsi, parlare con tutti, perché di quello che sta accadendo si sa poco e nulla, complice la rapidità delle firme e delle decisioni che pendono sulle loro teste. Le ragioni dello sciopero dei driver sono molte: condizioni contrattuali misere e precarie che gettano il lavoro nello scacco della “paura dei capi”, ma anche ritmi insostenibili e rischi per la sicurezza, frutto della violenza dell’algoritmo dei nuovi dispositivi di videosorveglianza e controllo. Ma non solo, perché a portare a picchettare gli ingressi della station di Vigonza è anche l’avvio di una procedura di trasferimento di 160 driver, un numero corrispondente a tutto il personale assunto dalle società Sidetra e YouLog: i due gruppi vengono trasferiti dalla sede padovana a quelle di nuova apertura a Vicenza e Venezia. A darne l’annuncio è stato un messaggio su Whatsapp inviato ai lavoratori e alle lavoratrici direttamente dai capi delle S.r.l. sopracitate, fatto che conferma ancora una volta la tendenza all’informalizzazione delle relazioni lavorative odierne. Il messaggio, seguito da una comunicazione ufficiale, ha assunto fin da subito la forma di una notifica che non ammette replica, indicando tempistiche impraticabili: meno di un mese per riorganizzarsi e ricominciare a cinquanta chilometri di distanza.
Cosa significa davvero trasferimento
«Dal giorno in cui è arrivato il messaggio» racconta Marta [nome di fantasia, come più avanti], driver per YouLog, «alla fine di ogni turno nel parcheggio il capo ha iniziato a chiedere “vai o stai?”, e vai non significa vai a Vicenza, significa che ti licenzi». Il trasferimento non è solo uno spostamento a un magazzino in un luogo diverso, dove probabilmente i muri sono dello stesso colore. Il posto di lavoro non è solo “un posto” e basta. Il posto di lavoro è un ambiente di relazioni, è anche una casa, un luogo di creazioni di abitudini e di senso – anche quando il lavoro in sé, la mansione che si svolge, sembra non restituire alcun senso. Il posto di lavoro è una garanzia che si lega ad aspetti intimi della vita personale e interpersonale: la famiglia che cresciamo, la macchina che abbiamo appena comprato, la testimonianza di poter costruire qualcosa. Il posto di lavoro è dire qualcosa di noi. Il trasferimento porta via tutto questo, dalla dimensione più concreta e materiale della capacità di sostentamento, a quella più politica: il radicamento sul territorio e le relazioni che abbiamo costruito negli anni, che tecnicamente significa sindacalizzazione.
Il posto di lavoro è un ambiente di relazioni, è anche una casa, un luogo di creazioni di abitudini e di senso.
Tutto questo viene spazzato via con un messaggio, anche qui come in GKN a Firenze, con la differenza che a Vigonza non c’è niente da “delocalizzare”. La station padovana gode di ottima salute, non è in procinto di chiudere, né di ridimensionare il suo operato. Al trasferimento di 160 addetti seguirà l’inserimento di una nuova società che provvederà a sostituire i posti lasciati vacanti con nuovo lavoro precario. In questo quadro il trasferimento diventa una pratica politica con cui Amazon mostra tutta la sua capacità di governo della forza lavoro, senza bisogno di intermediazioni sindacali, tavoli di contrattazione e con il beneplacito della dirigenza e delle aziende coinvolte negli appalti. «I dipendenti delle società trasferite vengono obbligati ad andare a lavorare in due station nuove» commenta Giorgio Bullo, segretario generale della UIL trasporti Padova/Rovigo: «La canzone recita “Facciamo cominciare voi lì perchè siete i più bravi”, ma la verità è che stanno spostando i driver più anziani [per assunzione] per dividerli e desindacalizzarli». Tre di questi di questi driver, ad esempio, mentre continuano a indicare il capannone a righe ci tengono a raccontare che lavorano lì dal giorno dell’apertura, da quando il parcheggio era ancora solo ghiaia e la strada che i furgoni percorrono per entrare e uscire dal magazzino non era stata fissata. Abbiamo contribuito noi, ci dicono, a trovare la soluzione più comoda e breve.
Trasferimento, ad esempio, vuol dire dimissioni forzate per Antonella, che possiede un auto datata e non può comprarsene un’altra per rimediare ai 50 chilometri in più ogni giorno per andare a lavorare a Vicenza. Per Claudio vuol dire benzina e autostrada, un salasso che non è stato considerato rimborsabile. Significa riconfigurare tutti i turni per Jessica e non sapere che accordi prendere con la babysitter e il compagno nella gestione dei bambini. Per Federico vuol dire dimissioni forzate e perdere l’indeterminato, in altre parole tornare indietro di due anni diventando interinale alla Madilo, altra società in appalto a Vigonza. Per tutte le lavoratrici e i lavoratori, vuol dire ricominciare da capo e reimparare le strade, a riconoscere i luoghi di consegna, e ricostruire un contesto di relazioni, sociali e politiche. Trasferimento vuol dire pendolarismo e quindi peggioramento delle condizioni di lavoro.
E allora lo sciopero è in questo contesto il tentativo di bloccare il tempo del trasferimento, ossia delle dimissioni imposte, e rappresenta ancora oggi il tentativo di ricomporre il soggetto all’interno della catena del valore. Lo sciopero è ribadire la preminenza della dignità di lavoratori e lavoratrici sul loro uso e abuso da parte di chi sfrutta per profitto.
All’apertura del centro DVN1 di Vigonza, il 2 dicembre 2017 sul Mattino di Padova si scriveva: «Il lavoro è qui, adesso, ed è questo. Settantacinque posti da magazziniere, persone reattive, scattanti, disponibili al lavoro notturno, poche pause, non per niente li hanno soprannominati i “maratoneti”. E poi duecento posti da corriere, buona conoscenza del territorio, dei quartieri, delle stradine, poche storie sugli orari, si consegna tutto il giorno, la velocità prima di tutto. Il business che non conosce e non teme la crisi, quello che – si dice – sta uccidendo come mosche i negozietti che avevamo vicino a casa. Ma è Amazon, baby, è l’e-commerce, il futuro, il risparmio, la scelta senza confini. Ed è anche qui, adesso. È a Peraga di Vigonza, l’avresti mai detto?».
E qui e adesso è soprattutto il lavoro precario, sottopagato e ipersorvegliato contro cui scioperano i driver di Peraga di Vigonza. L’avresti mai detto, baby?